Questa settimana andiamo a: Melbourne, Australia
Coordinate: 37°48′51″S 144°57′47″E
Distanza da Firenze: 16.104 km
Quando la Novartis annunciò lo Zolgensma come la “cura” per l’SMA 1, sapeva, perfettamente, che il suo esorbitante prezzo avrebbe sollevato un polverone, e che sarebbe stata accusata di condannare a morte tutti quei bambini, che non avrebbero mai potuto accedere ad una cifra simile. Così, si sono inventati un programma di accesso controllato al farmaco – come viene definito creativamente – grazie al quale, ogni anno, l’azienda mette a disposizione, gratuitamente, un centinaio di dosi per tutti coloro che abitano nei paesi, in cui il farmaco non è rimborsato dallo stato. Come si accede a questo programma? Praticamente, attraverso una tombola. Basta che il pediatra curante invii una richiesta alla Novartis. Quest’ultima, poi, procede alla selezione dei nominativi, estraendoli a sorte. Sempre secondo l’azienda, visto il numero di dosi che può mettere a disposizione gratuitamente, questo resta il metodo migliore. E se ci si ferma ad un analisi del tipo “meglio pochi che nessuno”, è impossibile confutare che la Novartis abbia agito con spirito caritatevole. Ma le perplessità sulla moralità di una tale strategia e sulle motivazioni addotte per giustificarne l’adozione restano tutte.
Maria è una fervente cattolica, ma sa benissimo che Dio non c’entra niente con la sopravvivenza di suo figlio. Al limite, la provvidenza può aver avuto un ruolo nell’essere venuta a conoscenza della sperimentazione di Columbus, in modo del tutto casuale ed inaspettato. Il resto lo ha fatto il prodotto di una “big pharma” che lucra sulle sofferenze altrui. Molte madri, i cui figli sono prigionieri della SMA, la contattano per essere rassicurate sul fatto che i farmaci funzioneranno, come se fosse una specie di guru, sia nel caso in cui il loro costo sia coperto, e sia, soprattutto, in quello in cui è necessario iniziare il calvario della raccolta di fondi su internet. Il taglio sensazionalistico della comunicazione intorno allo Zolgensma, e alle altre terapie di questo tipo, ha favorito lo sviluppo della convinzione che, una volta sottoposti alla terapia, i propri figli torneranno perfettamente normali. Maria non se la sente di mentire. Lo Zolgensma funzionerà, impedirà alla malattia di uccidere i loro, figli, ma la gestione del “dopo” può essere un peso insopportabile, perché i farmaci salvano i piccoli pazienti, ma non li curano, e soprattutto non se ne prendono cura. A quello ci devono pensare i genitori, sobbarcandosi un lavoro enorme, nel quale i figli occuperanno il centro delle loro vite, in un modo, infinitamente, più intenso di quanto non succeda normalmente, quando si decide di mettere al mondo e crescere un bambino. Davanti ad una decisione da prendere in pochi giorni, al terremoto che ne consegue, e ad uno scenario così diverso rispetto alle aspettative create dalle aziende attraverso i social, molti genitori decidono di non far curare i propri bambini. È una scelta sconcertante, ma Maria non li giudica per questo. La fede le fornisce la forza di andare avanti, di non cadere preda del terrore, che la situazione possa precipitare da un momento all’altro, e di trovare, sempre, un sorriso rassicurante, quando è in mezzo agli altri. Ma non tutti hanno questa fortuna e lei, nel profondo, comprende chi si fa sopraffare dallo scoramento davanti a tali prospettive.
Alla fine, da qualunque prospettiva la si veda, questa vicenda lascia addosso un profondo senso di ingiustizia, come quando si butta giù uno sciroppo dal cattivo sapore e il suo retrogusto amarognolo persiste, nonostante l’acqua che continuiamo a bere nel tentativo di farlo sparire. Nessun bambino dovrebbe morire di una malattia incurabile, nessun bambino dovrebbe morire di fame, nessun bambino dovrebbe morire dilaniato da una bomba o con un proiettile conficcato in testa. Ma, soprattutto, nessuno dovrebbe lucrare su alcuna di queste cose. Come tantissime altre storie, invece, questa ci racconta il contrario.
Fonte: Internazionale