“Ricordiamoci che ogni mattina abbiamo la possibilità di scegliere come svegliarci… se scegliere di risvegliarci da malati, oppure scegliere di destarci da registi e protagonisti della nostra vita, esattamente come scelgo io”. Questa è la risposta che Ivan Cottini ha dato ad una delle mie domande e che mi ha colpita dritta al cuore, come tutta la sua intervista. Il senso della vita a volte è così difficile da afferrare e da rendere vivo. Ivan con queste semplici parole ha colto nel segno. Coraggio, altruismo e grande forza lo caratterizzano: Ivan è un artista, un ballerino con il ritmo che gli scorre nelle vene con il quale regola anche il ritmo della sua vita e delle sue giornate. Un giovane uomo in grado di combattere, ogni giorno, contro una battaglia che, a volte, può sembrare più grande di lui, ma che, nonostante tutto, va avanti, insegue il suo sogno e balla, balla per l’amore verso sua figlia, verso la sua famiglia e verso la vita che con lui è stata particolarmente dura.
La differenza sta tutta in come si affrontano gli ostacoli e lui è la prova vivente che, se realmente si vuole una cosa, la si può ottenere con le proprie forze: l’importante è non arrendersi mai e crederci sempre. Ivan è di origini marchigiane è nato ad Ascoli Piceno nel 1987, la sua carriera è costellata da grandi successi, ha preso parte a diverse edizioni di Amici, nel 2019 ha partecipato a Ballando con le stelle on the road. Dopo quella esibizione è stato fortemente voluto da Amadeus, per danzare sul palco dell’Ariston, a Sanremo, nell’edizione del festival del 2020. È stato insignito dal Presidente Mattarella della carica di Cavaliere della Repubblica ed ha anche firmato la Carta dei diritti del malato presentata alla Camera. La musica continua a suonare ed Ivan continua a muovere i suoi passi di danza, insegue i suoi sogni i suoi progetti futuri e chi lo conosce e lo segue continua a credere in lui.
Ivan ci racconti com’era da bambino, quali erano i suoi sogni. Cosa la rendeva davvero felice?
Premetto che, sin da piccolo, son sempre stato un bambino anomalo e molto ribelle. Non mi piaceva stare in mezzo agli altri bambini, anzi, tenevo molto ad isolarmi e la stranezza più grande che mi porto ancora dietro, oggi, a 38 anni, è l’amore per le piante. A sei anni, mi facevo l’orto sul terrazzo di casa e in ogni vaso piantavo qualcosa, perché veder crescere e germogliare mi faceva stare bene. Per il resto, è stata un’infanzia con tante responsabilità: ho due fratelli più piccoli, che, negli orari di lavoro dei miei genitori, erano affidati a me.
Quando è entrata la danza nella sua vita e dopo quanto ha capito che avrebbe voluto diventare un ballerino professionista?
La danza è entrata per caso otto anni fa: ero già malato ed ero già su sedia a rotelle. E confesso che prima di ammalarmi, mai, avevo danzato. Ma, magicamente, durante una serata di beneficenza, mi misero al centro di una coreografia e, in quella notte, attraverso dei piccoli movimenti – era una danza arcaica rispetto a quella di oggi – ne scoprì il suo potere su di me. Due sono le cose fondamentali: la prima è che io, attraverso la danza, posso prendere a calci nel sedere questa malattia che vuol tanto tenermi fermo; la seconda è che mi fa stare bene mentalmente, e se stai bene mentalmente, nella vita, puoi affrontare qualsiasi sfida.
Com’è stato il suo percorso iniziale, ci parli della sua esperienza. Chi l’ha sostenuta maggiormente?
La mia famiglia è sempre stata al mio fianco, dalla diagnosi in poi, anche se è stata dura accettare la cosa, anzi, sicuramente, i miei genitori ancora non l’hanno accettata mentre io comunque sono ripartito.
Ha ottenuto risultati enormi, arrivando a ballare in contesti molto importanti. Ci può raccontare cosa provava allora, e, se ha avuto dei momenti difficili, com’è riuscito a superarli…
Sicuramente, la mia forza di volontà e il potere della mente hanno sempre vinto su tutto e sui deficit fisici dati dalla malattia, facendomi vincere, ogni volta, la paura di farmi male. So che ogni volta che decido di mi farò male. La danza oggi è il mio alleato per contrastare l’avanzamento della malattia.
Quando la malattia si è affacciata nella sua vita, come ha trovato la forza e il coraggio per affrontarla?
Dalla diagnosi alla ripartenza, non è stato tutto così semplice e veloce. Son trascorsi diversi mesi, nei quali, psicologicamente, ero a pezzi e mi ero messo seduto ad osservare il mondo, che mi passava davanti, insomma: avevo smesso di vivere. Poi, sinceramente, mi sono stufato di stare seduto e, a 27 anni anni, ho capito che non ero pronto a fare il malato. Volevo dimostrare ai miei genitori che potevo essere più forte di questo male. Speravo, in quel modo, di farli, finalmente, smettere di piangere.
Com’è la sua giornata tipo?
Le mie giornate ahimè son tutte uguali: non conoscono festività o vacanze, scandite dagli appuntamenti fissi coi farmaci. Mi sveglio alle sei e inizio con i primi farmaci. Alle sette e trenta faccio ginnastica passiva, fisioterapia e logopedia con il terapista e poi un po’ di yoga, tempo permettendo. Mi concedo una piccola pausa di un’ora e mezza e nel pomeriggio, passo a fare due ore di ginnastica attiva in palestra, a casa, e, dopo, mezz’oretta di danza. Concludo la serata prima di cena, con le ultime terapie alle gambe prima di rilassarmi finalmente.
Che progetti ha per il futuro?
Il futuro? Diciamo che navigo a vista. Temo che questi saranno gli ultimi mesi in cui potrò ballare, visto che la malattia va avanti e diventa sempre più logorante per me, per cui il gioco non vale più la candela. Comunque, ora, sto scrivendo un romanzo sulla mia vita, per la Mondadori e spero che esca un progetto già iniziato con Al Bano di video musicale. Confesso che spero ancora in un terzo Sanremo, ma, soprattutto, spero di veder crescere mia figlia il più lungo possibile.
Ha capito qual è la vera missione della sua vita?
Io penso che la vera missione che abbiamo, sia rendere felici chi amiamo e ora la mia più grande sfida è far sorridere mia figlia ogni giorno.
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Ricordiamoci che ogni mattina abbiamo la possibilità di scegliere come svegliarci… Se scegliere di risvegliarci da malati… oppure scegliere di destarci da registi e protagonisti della propria vita, esattamente come scelgo io.
Foto per gentile concessione di Ivan Cottini