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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La resa degli Apuani (nona parte)

DiGian Luigi Telara

Ott 24, 2022

Qual fu l’apporto bizantino nell’Italia dell’epoca? La storiografia attuale lo descrive con toni funesti: un periodo di vessazione, di gabelle, di decime e di tasse su tutto. I briganti erano spariti, ma solo perché nessuno viaggiava più. Chi si cimentava in un viaggio era quasi certo di essere ucciso e rimanere insepolto. Molti posti erano in rovina, non c’era denaro per riparare le case. Secondo lo storico Paolo Diacono, a metà del VII secolo, nella Padania, pascolavano i bisonti.

In Lunigiana le cose erano, in effetti, diverse: la presenza del porto rendeva l’area di primario interesse e, anche se i commerci erano fortemente ridotti, l’area era comunque abitata da un crogiolo di popoli e anche fortemente militarizzata. Lungo le strade lunigianesi si potevano incontrare genti autoctone, germaniche, africane e mediorientali, e le religioni erano altrettanto varie: dal Cattolicesimo, all’Eresia di Ario, dall’Ebraismo alle residue forme di paganesimo.

Nelle nostre valli i nuovi popoli arrivati, tra i quali c’erano anche i Goti passati nelle fila bizantine, erano graecae loquentes, poiché i bizantini erano di lingua greca. Quindi c’erano gli invasori che parlavano in greco e in latino, mentre gli autoctoni parlavano in un misto latino con termini derivati dal loro passato ligure, in una lingua non scritta, destinata all’oblio e i notabili, infine, usavano il latino, ma solo nella forma scritta.

Quello fu il periodo in cui la Lunigiana fu davvero una terra di frontiera: al di là del limes, la lingua germanica e il diritto consuetudinario, al di qua il diritto romano e l’uso del latino e del greco.

A Carrara si continuava parlare in un latino storpiato e cadenzato, che non si mescolò particolarmente con il greco, parlato solo dalle gerarchie militari che dominavano il territorio lunense.

In quel momento storico, i limiti territoriali di Luni erano la Pieve di Pontolo nella valle del Taro, Bismantova nell’Appennino Reggiano, Castelvecchio, Piazza al Serchio, nella vicina Garfagnana, a sud il “Castrum Aghinolfi” (Monti­gnoso). Erano anni di lotte cruente e continue, poiché la non lontana Lucca era longobarda fin dal 570.

Già nel 593, durante il Regno di Agilulfo, parte della linea di difesa venne scardinata, e il limes venne spostato dalla valle del Taro alla valle del Caprio, attuale Teglia, a valle di Pontremoli, con Filattiera fortificata a strenua difesa del porto. La cima che divideva i due versanti dell’Appennino divenne da allora il Mons Langobardorum, il “Monte dei Longobardi” (l’attuale valico della Cisa).

Ora i bizantini erano pressati da nord, con Filattiera ultimo baluardo e da sud (Lucca), verso cui il limes difensivo includeva anche Carrara: la villa romana di Moneta fu riadattata come ottimo castrum, mentre altre fortificazioni furono costruite intorno al percorso del fiume Aventia (Carrione) e che includeva Micauri (attuale Nicola), Castelpoggio e Montignoso.

I Bizantini furono definitivamente sconfitti dai Longobardi di Rotari. Costoro erano una massa di quattrocentomila anime, che comprendeva tante popolazioni, tra cui anche popoli romanizzati e poi divenuti barbari. Vi si contavano Sassoni, Svevi, Gepidi, gli Ostrogoti del Norico (regione in gran parte corrispondente all’odierna Austria). Di questa orda faceva parte anche un cospicuo numero di Avari e di Bulgari (popolazioni di origine turco–mongola), di Pannoni (di ceppo illirico), di Sarmati (popolazione di ceppo ira­nico), e persino popoli di stirpe non germanica ma latina che arrivavano dalla Pannonia (discendenti di genti italiche pervenute in quelle contrade in Età Imperiale e poi imbarbaritisi).

Fra il 640 e il 644, durante il regno di Rotari, i Longobardi si mossero da Pisa ed annetterono tutta l’area litoranea ligure–tirrenica, inclusa Carrara.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

Quarta parte

Quinta parte

Sesta parte

Settima parte

Ottava parte