Dove andiamo questa settimana: Goma, Repubblica Democratica del Congo
Coordinate: 01°40′46″S 29°14′01″E
Distanza da Firenze: 5.361 km
Goma è una città della Repubblica Democratica del Congo (RdC) che si affaccia sul lago Kivu, non molto lontano dal Ruanda. Fa circa 670,000 abitanti, un po’ più di Palermo, giusto per avere un’idea. Ora immaginate che ogni singola strada, e ogni piazza del meraviglioso capoluogo siciliano sia fiancheggiata da due file ininterrotte di rifiuti. Goma è così: una sorta di discarica abusiva distribuita per tutti i suoi 75,72 km2. Qui, come in molte altre città africane e del mondo, non c’è raccolta pubblica dei rifiuti. L’attività è affidata ai privati, la maggior parte dei quali sono stranieri o piccole realtà locali. Patrick lavora proprio per una di queste, la Great Vision Business, la prima azienda di nettezza urbana di Goma: l’unica che ha in dotazione un camion attrezzato – fatto venire dal Giappone per poco più di 13.000 dollari – cinque netturbini e cinque impiegati, per gestire la clientela. Perché ovviamente il servizio di raccolta è assicurato solo a chi può permetterselo. La GVB vanta orgogliosamente 6.000 dollari di fatturato annuo e 300 clienti, ma sono un’inezia in confronto alla popolazione della città.
Con niente di più che un paio di guanti in gomma, tutti i giorni Patrick raccoglie a mano l’immondizia del cliente, la stipa in un sacco, mette il sacco in una cariola che poi spinge fino al camion. E così via di cliente in cliente. Pochi si fanno portare via i rifiuti davanti a casa tutti i giorni: qualche ricco uomo d’affari che vuole avere il giardino della sua villa pulito, qualche hotel di lusso che si affaccia sul lago. Gli altri devono prenotare la raccolta in modo saltuario, e l’immondizia così si accumula irreparabilmente. Se si riuscisse a convincere tutti ad utilizzare il servizio, la GVB potrebbe ingrandirsi, investire, dare lavoro a più persone e la situazione migliorerebbe. Ma la RdC è uno dei paesi più poveri del mondo: circa 65 milioni di persone vivono con meno di 1,60 dollari al giorno, che è la cifra al di sotto della quale non è possibile la sopravvivenza, secondo quanto calcolato dalla Banca Mondiale. Poiché ogni sacco deve fruttare almeno due dollari, quante persone rinuncerebbero al proprio stipendio per farsi portare via l’immondizia? Praticamente nessuna. A complicare una maggiore diffusione del servizio, poi, c’è la concorrenza che lo offre a prezzi più bassi ma con una peggiore qualità. Sono una trentina le aziende che operano a Goma: i loro camion sgangheratissimi girano per la città con cumuli di immondizia ammassati sui pianali di carico aperti, per cui è più la sporcizia che si perdono per strada che quella che arriva nelle discariche vere e proprie.
E poi c’è il mercato. Qui la situazione è paragonabile solo ad un girone dantesco. All’ingresso, i cumuli di spazzatura superano abbondantemente il metro e mezzo e hanno invaso quasi completamente la sede stradale, tanto che si può circolare solo in bici o con lo scooter. Il percolato dei rifiuti organici ha formato una fanghiglia che arriva fino alle caviglie, e si è letteralmente assaliti da nugoli di mosche e zanzare. Il fetore è nauseabondo e bisogna indossare subito delle mascherine per non svenire. Nonostante questo il comune non riesce – o non vuole – occuparsi della raccolta e i rifiuti stazionano lì per mesi. All’interno le cose non vanno troppo meglio. I banchi degli ambulanti – sono circa duemila e quasi tutti gestiti da donne – espongono la loro frutta e verdura a pochi centimetri dai cumuli di rifiuti. Quando piove il mercato si trasforma in una pozzanghera di fango e immondizia.
Nei paesi in via di sviluppo, ogni anno la convivenza ravvicinata con i rifiuti, dovuta all’assenza o allo scorretto smaltimento degli stessi, provoca circa un milione di morti, per tifo, colera, malaria o anche semplice dissenteria.
Una volta finito il giro, Patrick si avvia verso la discarica della ditta, che si trova in un terreno incolto poco fuori città. Lo spazio è abbastanza grande e qui i rifiuti sono ordinatamente differenziati, perché una volta che Patrick scarica i suoi quattro metri cubi di immondizia stipata nei sacchi, arriverà poco dopo un collega che li differenzierà a mano, uno per uno, senza mascherine o alcun altro dispositivo di protezione. Il titolare è in trattativa con alcune aziende che hanno i mezzi per riciclare i rifiuti differenziati ma le cose in Africa vanno per le lunghe a causa della corruzione che pervade l’intero sistema. I rifiuti speciali, come le pile, e quelli organici, però, vengono smaltiti con efficienza e una certa creatività. I primi vengono venduti in Ruanda dove vengono smaltiti secondo gli standard ambientali, mentre i secondi alimentano una sorta di orto collettivo dove viene coltivato il lengalenga, una verdura di qualità eccellente molto simile allo spinacio che viene distribuita fra i dieci dipendenti. Intorno a questo piccolo miracolo di scienze ambientali, invece, i camion delle altre ditte scaricano quello che gli è rimasto sul pianale senza star troppo a sottilizzare. Ad ogni arrivo, nugoli di persone si raggruppano intorno ai mezzi per cercare di racimolare qualcosa di prezioso. Questa è la loro vita, è la vita dell’Africa intera: sommersa dai debiti, dalla violenza, dalla fame, dalle malattie e dai rifiuti. A fronte di una produzione pro-capite di rifiuti nettamene inferiore a quella dell’Unione Europea o delle altre zone industrializzate, la sua capacità di riciclare è infinitamente più bassa. Le conseguenze di ciò travalicano il continente: lo scorretto smaltimento dei rifiuti contribuisce all’aggravarsi della crisi climatica e dell’inquinamento, in quanto i rifiuti bruciati o semplicemente sepolti producono gas ad effetto serra quali il metano e l’anidride carbonica.
Quello dei rifiuti in Africa, quindi, è un problema globale e che ci riguarda da vicino già oggi: se non ancora a livello ambientale, dove l’impatto dello scorretto smaltimento del continente è ancora molto marginale – di sicuro a livello sociale, in quanto la promiscuità fra rifiuti, uomo e animali domestici può creare malattie infettive nuove o varianti di quelle già conosciute in grado di scatenare nuove pandemie.
La giornata di lavoro è finita. Patrick può tornare a casa e godersi una serata in famiglia. La sua è una situazione di privilegio, dopotutto: ha un lavoro stabile e dignitoso, per gli standard del paese, in una ditta solida con interessanti prospettive di crescita. Forse dovrà passare ancora molti anni a maneggiare rifiuti, ma almeno per lui il futuro è qualcosa in cui si può ancora credere.
Fonte: Internazionale