• Sab. Nov 23rd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Carrara per Francisco Ferrer

DiVinicia Tesconi

Ott 12, 2022

Le guardie lo vennero a prendere nella sua cella, dentro la cittadella fortificata di Monjuich, sulla collina che domina Barcellona. Era il 13 ottobre del 1909 e mancavano pochi minuti alle 9 del mattino. Esattamente 24 ore prima gli avevano notificato la condanna a morte, che non lo aveva sorpreso, perchè Francisco Ferrer non aveva mai avuto dubbi sul suo destino, dal momento, in cui, poco più di un mese prima, era stato arrestato per fatti a cui era completamente estraneo. Ferrer aveva 50 anni e una vita intera alle spalle dedicata a rivendicare il valore della libertà. Il primo segnale era arrivato, da bambino, quando aveva sfidato il prete del suo villaggio, Alella, vicino a Barcellona, ed era andato al funerale di uno zio che, per primo, gli aveva instillato idee libertarie e insofferenti ad ogni tipo di potere: politico e religioso e che aveva richiesto un rito civile e non religioso. Francisco, per quella decisione, aveva preso un ceffone sul viso dal prelato e, senza esitazione, lo aveva denunciato. Ferrer era il penultimo di 14 figli, di una famiglia contadina, se pur assai agiata, e, soprattutto, fortemente cattolica e monarchica: caratteristiche che a Francisco risultarono strette, da subito. Cominciò a lavorare a 14 anni, da un mugnaio di Barcellona. A 20, riuscì ad entrare nelle ferrovie come controllore, continuando, sempre a studiare, da autodidatta, sul problema e sull’importanza sociale dell’istruzione dei bambini. A Barcellona entrò in contatto con gli anticlericali e con i repubblicani e consolidò la sua formazione culturale e politica, finendo con l’aderire alla Massoneria, che, in quel momento, in Spagna, raccoglieva gran parte dei liberali e frequentando corsi serali, negli ambienti della resistenza operaia. La sua preparazione era tale che, facilmente, gli permise di entrare nei circoli libertari della città catalana e di stringere amicizia con i celebri pensatori anarchici del tempo, quali: Proudhon, Bakunin e Kropotkine, senza, tuttavia, abbandonare le sue idee repubblicane. Nel 1886 perse il lavoro e venne mandato in esilio a Parigi, perché accusato di aver nascosto sul treno, su cui prestava servizio, dei rifugiati politici ed anche per aver partecipato a un’insurrezione repubblicana. A Parigi, Ferrer, restò per 15 anni, nei quali visse, dando lezioni di spagnolo, ma, soprattutto, comprese la dannosità della violenza. Abbandonò tutte le idee insurrezionistiche armate e si concentrò sul valore dell’educazione come strumento per raggiungere una vera emancipazione sociale. Al suo ritorno a Barcellona, nel 1901, grazie a un’eredità lasciatagli da un’allieva, fondò una scuola elementare e diede vita al suo progetto educativo sociale chiamato: Escuela Moderna. Una scuola fondata sui “principi che corrispondano all’ideale della società e di uomini e donne che condannino le convenzioni, i pregiudizi, le crudeltà, gli inganni e le menzogne, che non accetta dogmi o costumi perché sono forme che imprigionano la vitalità mentale e che accetta solo soluzioni che sono state dimostrate da fatti, teorie ratificate dalla ragione e verità confermate da prove certe”. Il successo che riscosse fu immediato ed enorme: in breve gli alunni aumentarono e Ferrer dovette creare diverse altre sedi dell’Escuela Moderna, anche nelle città vicine. Nel frattempo continuò la sua battaglia politica a sostegno dei lavoratori scrivendo articoli, fondando giornali e partecipando a manifestazioni sindacali. Nel 1907 venne arrestato e processato come istigatore dell’attentato che uccise 28 persone durante il corteo per le nozze del re Alfonso XIII, ma, non essendoci alcuna prova a suo carico, venne assolto. Tuttavia, durante la carcerazione, le sue scuole vennero chiuse e, dopo l’assoluzione, Ferrer non ottenne il permesso di riaprirle. Per due anni visse tra Parigi e varie capitali europee, diffondendo le sue idee sull’educazione scolastica, attraverso testi, articoli e giornali. Alla fine del luglio del 1909, Ferrer venne indicato come responsabile della rivolta del sindacato socialista, contro la guerra in Marocco, per la quale il governo spagnolo aveva richiamato moltissimi uomini tra le classi meno ricche. La repressione dell’esercito spagnolo lasciò sul campo 78 vittime e comportò 2000 arresti: tra questi anche Ferrer, indicato dal vescovo di Barcellona come teorico della “scuola senza Dio”, dalle cui idee erano partiti gli scontri. Con l’arresto del 31 agosto, partì la farsa di un processo, il cui esito era fin troppo scontato. A Ferrer, martellato dagli interrogatori e dall’isolamento, venne concesso di nominare un avvocato solo il 3 ottobre, una settimana prima dell’inizio del dibattimento davanti al tribunale militare. In tribunale non gli venne quasi mai concesso di parlare, neppure di fronte alle clamorose contraddizioni evidenti già nelle accuse, né vennero ammessi i testimoni a suo favore. La sentenza che lo condannava alla pena capitale, rapidissima e annunciata, tenne, comunque, col fiato sospeso i molti seguaci di Ferrer in tutta Europa e, per questo, venne tenuta segreta, fino al giorno prima, dell’esecuzione. A Ferrer non la comunicarono neppure l’11 di ottobre, quando lo trasferirono a Monjuic. Alla notifica della condanna, Ferrer venne invitato, insistentemente e inutilmente, a incontrare un prete, cosa che egli rifiutò con fermezza, prima di accingersi a scrivere il suo testamento. Il prete venne mandato a tormentare Ferrer, anche lungo il tragitto fino al plotone di esecuzione. Francisco continuò a scacciarlo e a mostrare la sua indifferenza verso lo spaventoso abuso che stavano compiendo nei suoi confronti. Marciò a testa alta, dietro ai suoi aguzzini. Si mise in piedi davanti ai soldati, che avrebbero dovuto sparargli e li guardò dritti negli occhi: “Figli miei, non ci potete fare niente, mirate bene. Sono innocente. Viva la scuola moderna. ” gridò loro e quelli, turbati, gli imposero la benda sugli occhi, che Ferrer aveva rifiutato. Una raffica e la fine, ma la sua morte fu l’inizio di una serie impressionante di rivolte in varie parti di Spagna e d’Europa, per l’ingiustizia gravissima compiuta. Due anni dopo, la revisione degli atti processuali, decretò la totale innocenza di Francisco Ferrer. Da subito, cominciò la corsa a dedicargli monumenti e lapidi commemorative. Tra le prime città che gli resero omaggio ci fu Carrara, patria dell’anarchia, che pose un busto e una lapide in via Roma, nel 1913, poi spostati in piazza Alberica nel 1946. Il busto venne realizzato dallo scultore Gino Guadagni, mentre il testo dell’epigrafe fu opera di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che scrisse. “Francisco Ferrer, educatore di plebi alle civili vendette il magistero con la vita pagò”.