• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Storie di un altro mondo

Dove andiamo questa settimana: Herradura, Cuba

Coordinate: 22°34′25″N 83°27′09″W

Distanza da Firenze: 8.679 km

Quando arrivano ad Herradura, nella parte occidentale di Cuba, a circa un’ora e mezzo di auto da l’Havana, il mondo intorno a loro è una tavolozza di soli quattro colori: l’azzurro infinito del cielo e del mare, il bianco della spiaggia, il verde degli arbusti che spuntano dalle dune alle loro spalle e una lunga striscia scura fatta di alghe e pezzi di legno portati dalla marea notturna. Non c’è vento, non ci sono onde. La vasta distesa d’acqua, lì davanti, è immobile e sembra quasi aspettarli. Dall’altra parte, la Florida. Sono circa 360 km. Quattro ragazzi, Julio Cesar Capote, suo zio Chenly Yoan Capote, i fratelli Josué Gabriel e Karen Rojas, tutti fra i 19 e i 22 anni, hanno deciso di attraversarli per cercare una vita migliore, lontano da Cuba. Ma lo faranno a bordo di una semplice zattera in polistirolo, legno ed alluminio, affittata per pochi dollari da un pescatore del posto. Chenly Yoan aveva comprato un motore ma alla fine non è riuscito a prenderlo in tempo per il giorno prefissato. Nonostante questo decidono di partire comunque, affidandosi a due remi di fortuna. Così il 15 agosto 2021, alle prime luci dell’alba, i quattro ragazzi salgono sulla zattera armati solo di tre zaini contenenti un po’ di cibo e bevande, e una bussola. Ai remi si alternano zio e nipote, perché gli altri due non hanno mai remato in vita loro e Josué Gabriel addirittura non sa nuotare. Non hanno nessuna dotazione di emergenza, nessuno di loro indossa un giubbotto di salvataggio.

I primi giorni procede tutto bene, anche se stare in mare senza un riparo è una tortura che martorizza la pelle e l’anima. Poi arriva la tempesta. La zattera si allontana dalla rotta, rovesciandosi cinque volte. I ragazzi riescono miracolosamente ad aggrapparsi e a non farsi inghiottire dalle onde alte quasi dieci metri, ma cibo e acqua vanno perduti, mentre i remi si spezzano come stuzzicadenti in bocca ad un mostro marino. Non c’è riparo dal vento che li sferza e dal freddo che trafigge le loro ossa. Il panico li travolge come e ancor più della tempesta stessa, tanto che Karen vuole buttarsi in acqua per tornare indietro a nuoto. Allora gli altri due staccano un pezzo di zattera. Karen e il fratello ci salgono sopra, allontanandosi da Julio Cesar e Chenly Yoan. Ma il mare non ha pietà e in pochi istanti si prende le loro giovani vite per sempre.

Sull’altro pezzo di zattera Julio e Chenly non possono far altro che osservarli scomparire, inghiottiti dalla massa buia che si muove sotto di loro. Perché è proprio il buio la cosa peggiore: più del sole che ti accartoccia le pelle, più delle allucinazioni, più della fame e della sete, più della paura stessa di morire. Quando scende la notte non si vede praticamente niente, senti solo il vento, e se si cade in acqua si precipita in posto freddo dove il buio è assoluto ed ha una dimensione materica che coinvolge tutti i sensi, non solo la vista, rendendolo ancora terrificante. Quando la zattera si rovescia, zio e nipote riescono a stare a galla e aggrappati al telaio dell’imbarcazione soltanto grazie alla forza delle loro braccia : Julio è un ex pugile e Chenly un ex soldato. La tempesta è passata, ma le onde restano alte, e anche se ancora vivi, sono comunque alla deriva, senza cibo né acqua. Immergendo i piedi in mare riescono ad attirare qualche pesce e fra questi ne catturano cinque.  Li spellano con i denti e li buttano giù con un sorso di acqua salata. Di tanto in tanto passa in lontananza un’imbarcazione. Loro si sbracciano ed urlano con tutto il fiato che hanno in gola, ma nessuno passa abbastanza vicino da poterli notare. Così arriva il momento in cui smetti di lottare. Juan si sdraia sulla zattera, esausto e con il corpo in fiamme, rannicchiato su se stesso, coprendosi con una coperta, dando le spalle allo zio. Quando si volta verso di lui – possono essere passate due ore come due giorni, tanto è distorto il suo senso del tempo – Chenly non è più a bordo. Privo di sensi, lo zio deve essere rotolato in acqua e, senza più forza per opporgli resistenza, il mare si è divorato anche lui.

Il 28 agosto 2021, dopo tredici giorni alla deriva, la zattera viene avvistata al largo di Key Biscayne dal proprietario di uno yacht che chiama subito la Guardia Costiera. A bordo Julio riceve i primi soccorsi e viene portato al Jackson Memorial di Miami in condizioni disperate, ma vivo. Viene dimesso il primo settembre. Lui non sa che nel frattempo è diventato una specie di eroe: le immagini del salvataggio e la sua storia hanno riempito i media di Miami. E’ famoso e le richieste di interviste si susseguono senza sosta. Qualche tempo dopo Julio chiede ed ottiene lo status di rifugiato politico, regolarizzando così la sua posizione e permettendogli di trovare un lavoro. Dopo qualche mese passato nella casa di un cugino di parte paterna, adesso vive insieme ad una ragazza conosciuta proprio sul posto di lavoro, il Palacio de los jugos, dove ancora oggi lo puoi trovare a preparare bistecche di pollo alla griglia. Ad un anno di distanza, la sua storia è stata dimenticata, i giornalisti non lo cercano più e lui sta cercando di inserirsi nella nuova realtà, quella realtà che lo ha spinto a sfidare il mare su una zattera, perdendo due amici e lo zio.

Li chiamano balseros, quelli che come lui provano a lasciare Cuba su un mezzo di fortuna. Nel suo paese Julio era un saldatore diplomato, ma per tirare avanti aveva fatto molti altri lavori. Si emigra per sfuggire alla fame, alla violenza, alla mancanza di libertà. Qualche volta si cerca di sfuggire ad una sola di queste cose, nella maggior parte dei casi a tutte e tre – e a molte altre -contemporaneamente. Anche per Julio è stato così. Lui ci è riuscito ma il prezzo pagato va oltre la nostra capacità di immaginarlo e quindi di comprenderlo.

C’è una frase che si usa a Miami per indicare un balsero che non si è scrollato ancora di dosso il suo stato di immigrato, che non ha ancora assunto i modi e i costumi della vera vita statunitense, e cioè si dice che quel balsero “…non è ancora scesa dalla zattera”. Ma quando ti porti addosso un carico di dolore così imponente, si può mai scendere dalla zattera per davvero? E anche noi che siamo nati nella parte giusta del mondo e che non abbiamo bisogno di sfidare la morte per cercare altrove quello che ci rende felici; non abbiamo anche noi, forse e nonostante tutto, una zattera dalla quale non riusciamo mai a scendere?


Fonte: Internazionale