Dopo aver preso contatti con l’organizzazione “Insieme”, all’Opa di Massa, grazie all’aiuto di un medico anestesista, la buona sorte non mi abbandonò. All’ospedale del cuore di Massa, infatti, le liste di attesa erano lunghe ed il bambino versava in gravi condizioni, per cui non si poteva aspettare. Venni, allora, indirizzato alla sezione pediatrica degli Ospedali Riuniti “Torrette”di Ancona, la cui segreteria mi accolse, dicendomi che avrebbero trovato subito il modo di ospedalizzare ed operare Neville, ospitando anche a loro spese la madre, appena fossi stato pronto con la relativa documentazione. Chiamai, immediatamente, Irene, la mamma di Neville e le dissi di mettersi subito in contatto con Nicolas, dell’Emigration, il quale le avrebbe spiegato tutta la documentazione necessaria per ottenere, velocemente, il passaporto per entrambi. Come promesso, tutto fu pronto in una settimana. A quel punto, per me, la sfida successiva divenne ottenere velocemente il visto umanitario e pagare il biglietto di andata e ritorno per entrambi. Per il visto, l’ospedale di Ancona mi rilasciò una dettagliata documentazione, con cui mi recai all’ambasciata italiana di Nairobi. Ma per poter ottenere il visto era necessario anche allegare il biglietto aereo e, per questo, mi venne suggerita un’associazione di Genova chiamata “L’albero della vita”. Tornai perciò, ancora una volta, in Italia, mi recai a Genova dove, dopo aver presentato la patologia del bimbo e la disponibilità dell’ospedale “Torrette”, mi fu concesso l’aiuto economico necessario per il biglietto aereo. Il giorno successivo inviai ad Irene tutto il fardello di carta, da portare all’ambasciata di Nairobi e, fortunatamente, dopo tre giorni, fui chiamato per il ritiro del visto umanitario. Ancora incredulo, ripartii per il Kenya ed ottenni immediatamente i due passaporti con i visti. L’ultimo ostacolo mi si presentò quando la compagnia aerea Qatar Airways scoprì che uno dei passeggeri era un bambino affetto da patologia cardiaca. La Qatar Ariway mi inviò una mail con cui mi chiedeva una certificazione, scritta da un cardiologo, che garantisse che il piccolo era in grado di volare ad alta quota senza ulteriori danni, considerata la rarefazione dell’ossigeno che si verifica in tale circostanza e che, quindi si assumesse la responsabilità di fronte alla compagnia. Non fu semplice trovare un medico che firmasse il documento, ma, alla fine, pagando profumatamente, un medico keniota ci diede la liberatoria per far partire Neville.
Era l’ora in cui anche all’equatore, dopo una giornata di sole allo zenit, le ombre cominciano ad allungarsi, quando il volo QR 1336 diretto a Doha, con coincidenza per Roma, lasciava l’aeroporto di Nairobi. A bordo c’erano Neville ed Irene, assistiti con cura dai membri dell’equipaggio. Il mio morale era alle stelle, nonostante sapessi che quello era, solo, il primo passo di un lungo percorso. Giunsero in orario a Fiumicino, alle 7.20 del mattino successivo e, puntualissima, nel rispetto di quanto avevamo organizzato con l’ospedale di Ancona, arrivò anche l’ambulanza, che ci avrebbe portato nella città dorica.
Neville fu visitato subito all’inizio del trasferimento e, poi, messo sotto ossigeno ed alimentato con una flebo, perché, durante il volo aveva avuto momenti di bassa saturazione. Arrivammo a destinazione prima dell’ora di pranzo. Neville fu subito ospedalizzato in una camera singola, dove poteva soggiornare e dormire anche Irene, in un letto accanto al figlio. Un’organizzazione umanitaria legata all’ospedale delle “Torrette”, si prese poi cura della madre, offrendole un piccolo appartamento in un condominio, e provvedendo a farle la spesa di generi alimentari. Rimasi, profondamente, ammirato da tale generosità e dalla grande professionalità dei medici. Dopo una decina di giorni, il bambino fu operato, con successo, a cuore aperto, con un intervento che durò oltre otto ore. Nella serata dello stesso giorno dell’intervento, potemmo visitare, Neville, in rianimazione. Tutto il reparto si adoperò nelle cure e nella riabilitazione del bimbo, che, dopo circa tre settimane dall’intervento, ricominciò a camminare, respirando ed ossigenandosi a sufficienza, autonomamente.
Oggi Neville ha quasi sette anni, vive con la famiglia in una cittadina turistica a sud di Mombasa (Diani), frequenta la locale “Primary school”, salta e gioca senza affanni, con i compagni ed è un birichino che non sta un minuto fermo a casa.
Foto per gentile concessione di Stefano Guidaci