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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La resa degli Apuani (sesta parte)

DiGian Luigi Telara

Ott 3, 2022

Oggi, per indicare la parte vecchia di Carrara si dice, genericamente, “di là d’aret” (dietro, di là), una zona in cui, fino a non molti decenni fa, c’era sempre un brulichìo di gente: donne al ritorno dalla spesa, coi loro cesti in testa e le mani impegnate a tenere tanti improbabili pacchi incartati, negozianti, strade bagnate dai catini d’acqua, “l’ bragheta e i bucaredi” (mutande e canovacc) stesi ad asciugare alle finestre dei piani alti, il chiasso “d’le done sgren’dne, d’i veci, e d’i fantoti ki parlav’n com i podev’n”(delle donne scarmigliate, dei vecchi, dei ragazzini che parlavano come potevano).

I Goti, invece, trovarono le fortificazioni, e ne notarono anche una piccola, forse già possedimento di una ricca famiglia romana o romanizzata, che diventerà il futuro castello di Moneta. Il mare lambiva l’odierna Avenza, che in quei tempi si presentava rude e selvaggia. In realtà la frazione di Avenza non esisteva ancora: si sarebbe imposta come centro di attività commerciali, come punto d’attracco e come roccaforte solo dopo la decadenza di Luni, intorno al X secolo. I primi dati storici, infatti, ne fanno menzione solo intorno al 950.

Il toponimo Avenza sembra derivare da ‘Flumen Aventia’ o anche “Lavenza”, o “Lauencia” secondo gli indigeni, nome poi mutato nell’attuale Carrione. Il sito si trova sulla “Tabula Peutingeriana” come nome di origine celto-ligure [Lav=acqua; enza = fiume] poi latinizzato. Comunque, se il Duomo di Carrara è la più antica chiesa della zona, San Pietro di Avenza, per importanza è la seconda.

All’arrivo dei Goti, esistevano anche piccoli paesi a monte di Carrara, tra cui Colonnata, forse difesa anche questa da una cinta muraria, e paeselli che contavano poche anime di maestranze nella lavorazione del marmo, arroccati alle falde delle montagne, che traevano sostentamento dai commerci e dalla estrazione del marmo. Erano le cosiddette vicinanze, la cui popolazione era contata e pagava le tasse in base al numero di “fuochi” cioè dei camini e dei forni. I Goti contribuirono all’espansione di Carrara, creando alcuni di questi piccoli paeselli, che hanno toponimia tipica. Tra questi: Codena, l’antica Gotona, e Bergiola, la cui radice sembra risalire alla parola tedesca “Berg”, cioè montagna”. I Goti non erano così numerosi da potere soggiogare, completamente, il territorio italico, ma riuscirono, ugualmente, ad infiltrarsi negli equilibri delle popolazioni che incontravano, che, spesso erano deboli e divise dal continuo contrasto tra proprietari e popolo comunque soggiogato. Ai Goti bastò essere in un rapporto di equilibrio con i “possessores” (i proprietari) per riuscire a prendere il potere e a mantenere l’ordine. In un certo senso, fu una immigrazione ben funzionale alle esigenze dei benestanti dell’epoca, agli equilibri preesistenti, che potevano continuare a mantenere sottomesso il popolino, con le “tasse son belle”.

Quando i Goti giunsero a Luni e presero il controllo di tutta l’area ligure, i Liguri li accolsero seguendo il principio della hospitalitas, che consisteva nel cedere ai nuovi arrivati un terzo delle terre utili al loro sostentamento e parte del terzo incamerato dal potere centrale vicario di Roma, poi vescovile, e, successivamente nei secoli, organizzato in “pievi”. Questo metodo di raccolta dei tributi non penalizzava i proprietari terrieri e, contemporaneamente, lasciava soddisfatti i nuovi arrivati, in quanto i tributi, calcolati dal Prefetto del Pretorio, erano semplicemente diversamente distribuiti. Il risultato era, pertanto, una discreta convivenza tra nuovi arrivati ed indigeni, che manteneva l’equilibrio tra le classi ricche e il potere. Anche per il popolo non cambiava nulla: era costretto a sgobbare esattamente come prima e poteva, consolarsi, almeno, con il fatto che i nuovi arrivati non avessero imposto di sgobbare di più.

I possessores avevano accettato le conclusioni del Concilio cristiano di Calcedonia del 451, mentre i Goti, pur cristianizzati, non le accettarono e rimasero aderenti all’arianesimo, così come era già stato per gli Eruli di Odoacre. Questo provocò una discreta separazione, su base religiosa, tra Goti e stanziali e fu così che Luni, col suo Vescovo, venne lasciata perdere e, non curata, conobbe un periodo di relativa decadenza. Anche il commercio del marmo subì una stasi e tutta l’area si chiuse, arrivando a sostenersi di attività locali, quali l’agricoltura, la pastorizia, la pesca, le attività silvestri e il piccolo artigianato. Inoltre, sebbene vi siano stati storici che abbiano vantato un evergetismo gotico (la donazione di denaro privato per opere di utilità sociale secondo lo stile dei romani, in un passato più recente denaro poi dedicato al mecenatismo e oggi alla filantropia ed alla sussidiarietà), cosa evidente nel nord Italia, sembra che questo non sia stato un fenomeno particolarmente presente tra i Goti nella zona di Apua e a Carrara.

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Seconda parte

Terza parte

Quarta parte

Quinta parte