• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Dove andiamo questa settimana: Canada
Coordinate: 54°00’00’’N 106°00’02’’W
Distanza da Firenze: 7.801 km

No, amici, non è come pensate. La potassa non è l’ennesimo, edulcorato appellativo per la… per quella cosa lì, dai, avete capito. Se non fosse una questione così attuale potrei senza dubbio sbizzarrirmi ad infarcire la narrazione con doppi sensi e frasi ammiccanti – a sicuro beneficio del buon umore di chi mi  legge – ma questa è una rubrica che si pone l’ambizioso obiettivo di far emergere storie che sembrano provenire da un mondo diverso, un mondo “altro” e perciò percepito come lontano, quando così lontano e soprattutto così “altro” non è. Poiché siamo letteralmente assediati e sopraffatti da cose che vanno come non dovrebbero andare, non mancheranno resoconti drammatici e dolorosi, ma per questo primo articolo ho scelto un argomento un poco più leggero ma che spero non manchi di sollevare domande e stimolare riflessioni nel lettore.

Dunque la potassa, dicevamo. La sua importanza deriva dal fatto che è un ingrediente fondamentale dei fertilizzanti. È una risorsa naturale di tipo estrattivo – quindi scarsa e costosa per definizione – i cui depositi si trovano sotto terra, esattamente ad un chilometro dalla superficie, preceduti da uno strato di acqua pressurizzata. I maggiori paesi produttori di potassa sono tre: Russia, Bielorussia e Canada. Grazie ai pruriti imperialisti di Putin i primi due non possono più esportarla a causa delle sanzioni e dei blocchi navali. Questo sta creando grandi difficoltà ad un’ampia parte del mondo che dipende dall’importazione di questo elemento per avere a disposizione i fertilizzanti necessari alla produzione agricola e, conseguentemente, alla soddisfazione del fabbisogno alimentare interno e all’esportazione. Nell’immensa ed intricatissima catena di scambi commerciali che interconnette l’intero pianeta, anche un singolo anello mancante – sebbene sconosciuto ai più – può avere conseguenze catastrofiche, costringendo i paesi ad andare disperatamente in cerca di fonti di approvvigionamento alternative per le materie prime ed i prodotti necessari alla loro sussistenza. Come sta succedendo per il gas, così accade anche per la potassa che tutti adesso chiedono al Canada. Qui l’estrazione e la produzione sono concentrate nella regione centrale del Saskatchewan, una striscia di terreno fertilissimo tra le foreste dell’Ontario e le Montagne Rocciose, già baciata dalla crisi ucraina in quanto i prezzi di quasi tutto quello che la provincia produce in superficie (grano, avena, colza e legumi) sono schizzati alle stelle, determinando una crescita annuale locale del 6%, un tasso di sviluppo che neanche la Cina può vantare, al momento.

I beneficiari principali di questo imprevedibile aumento di benessere sono gli abitanti della zona che, curiosamente, sono in larga misura di origine ucraina, grazie ad una lungimirante politica immigratoria del governo canadese che, alla fine dell’ottocento, affidò la trasformazione di queste terre selvagge in zone agricole produttive ai migranti di origine ucraina, giudicati particolarmente adatti al compito in quanto agricoltori da sempre, di stazza robusta (sia uomini che donne) e con numerosa prole al seguito. Più di duecento anni dopo, le odierne sofferenze degli ucraini in patria stanno facendo la fortuna dei loro connazionali a migliaia di chilometri di distanza. Non solo: l’impetuoso aumento della domanda di potassa che le aziende del Saskatchewan stanno registrando, sta facendo crescere i prezzi in modo mai visto, alzando i loro profitti verso livelli impensabili e spingendole ad aumentare la produzione degli stabilimenti già operativi, a riaprire quelli dismessi, o a cercare di anticipare di molti mesi la messa in esercizio di quelli in fase di costruzione. Tutto questo sta creando una forte richiesta di manodopera – specializzata e non – che però scarseggia.

Facendo leva sulla forte presenza di connazionali, il governo provinciale sta cercando di attirare nella regione più ucraini possibile, ma nonostante l’abbondanza di posti di lavoro, il costo contenuto degli alloggi e l’alto tenore di vita che la regione può assicurare, i rifugiati ucraini sembrano preferire altre destinazioni, dimentichi del sacrificio dei loro antenati che ripagarono la lungimiranza degli amministratori del tempo, forgiando il territorio e rendendolo creatore di ricchezza per loro e per le generazioni stanziali future.

Non è paradossale? Esiste un posto dove è possibile rifarsi una vita e dimenticare l’orrore della perdita, dove la crisi internazionale sta producendo benessere e non disperazione, dove sei il benvenuto e non ti senti straniero, dove non sei sfruttato né discriminato sul lavoro, dove il futuro è ancora un qualcosa in cui credere, e ciò nonostante c’è penuria di umanità disposta ad approfittarne.

Forse preparo le valigie. 

Fonte: Internazionale

Immagine in alto: Potassa policristallina, con un penny americano come riferimento