Nascere a Livorno da un padre siciliano e una madre livornese. Trascorrere l’infanzia a Torino, crescere nel quartiere popolare livornese delle Sorgenti, ha formato Paolo Virzì, gli ha fatto conoscere e respirare le varie sfumature di un paese che era e resta sospeso tra tradizione e un futuro immaginario difficile da realizzare. Paolo Virzì nasce a Livorno il 4 marzo del 1964. Fin da ragazzo si appassiona alla letteratura, in particolar modo a Mark Twain e Charles Dickens. Durante gli anni del liceo, nella Livorno di fine anni ‘70 conobbe Francesco Bruni, che diverrà il suo collaboratore principale alle sceneggiature che scriverà. Si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, la frequentò poco. Lasciò Livorno alla volta di Roma, si diplomò nel 1987 al Centro sperimentale di cinematografia. I suoi insegnanti furono: Gianni Amelio e Furio Scarpelli, che sarà il suo maestro. Insieme a Scarpelli scrisse la sceneggiatura di Tempo di uccidere, diretto da Giuliano Montaldo. Paolo Virzì collaborò alla sceneggiatura di uno dei miei film preferiti; Turné di Gabriele Salvatores. Si tratta di una pellicola on the road che riflette sul mondo degli attori teatrali, sui tormenti interiori degli artisti. Il debutto alla regia di Paolo Virzì avvenne nel 1994. La bella vita, una pellicola ambientata nella sua Toscana, che riflette sulla crisi della classe operaia che non andrà mai in paradiso, parafrasando Elio Petri. Il film vinse vari premi. Paolo Virzì colpì per il suo modo di dosare perfettamente dramma e ironia, quella vena dissacrante che hanno dentro i toscani. Nel 1996 diresse un cast di attori importanti, da Silvio Orlando a Laura Morante, Ennio Fantastichini e Sabrina Ferilli, che aveva già preso parte alla sua prima pellicola. Il film che si intitola: Ferie d’agosto, narrava di due famiglie contrapposte a livello politico e culturale. Fotografava perfettamente ciò che accadde con l’ascesa politica di Berlusconi, le due Italie. Quella trasformazione del paese in quel sistema maggioritario che ha intriso ogni lato del quotidiano, evidenziando quelle contrapposizioni ataviche che sono nel DNA degli italiani. Nel 1997, Paolo Virzì tornò in Toscana. Raccontò la sua Livorno, assunse il rischio di essere troppo locale ed invece ottenne un successo globale. La pellicola si intitola: Ovosodo. Ancora una volta la classe operaia è protagonista, si può definire Virzì, il Ken Loach italiano. Ci si innamora di quei personaggi così fragili ed altrettanto forti, quel quotidiano raccontato dal punto di vista della gente comune. Nel 1999 diresse Baci e abbracci. Si trattava di una pellicola che miscelava commedia sociale e racconto natalizio, caro al suo amato Dickens. Nel 2002, a causa del tracollo finanziario di Vittorio Cecchi Gori, il film: My name is Tanino, ebbe una difficile gestazione e la sceneggiatura venne riscritta più volte. Nel 2003, Paolo Virzì raccontò il suo trasferimento dalla provincia alla grande città, quella Roma che lo aveva accolto e fagocitato. Caterina va in città, narrava le vicissitudini di una giovane ragazza che si trova catapultata da Montalto di Castro, dove lascia un padre ingombrante, interpretato da Sergio Castellitto e arriva nella capitale, sentendosi persa e ritrovandosi. Nel 2006 Paolo Virzì tornò a raccontare il paese, l’egocentrismo berlusconiano, con la pellicola: Io e Napoleone. Era un film che miscelava commedia, film storico e in costume. Nel 2008 diresse una pellicola amara. Raccontò in termini grotteschi il mondo del lavoro, la precarietà che ancora oggi permea l’Italia. Tutta la vita davanti del 2008, si potrebbe sintetizzare nella frase di Paul Valery: Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta. Nel 2009 Paolo Virzì tornò a Livorno per girare un film corale, una pellicola sui rapporti famigliari, sul tempo che passa senza passare. La prima cosa bella è un film che ottenne diciotto candidature al David di Donatello. Vinse il Nastro d’Argento a Taormina. Le interpretazioni di Micaela Ramazzotti, che diverrà sua moglie, di Stefania Sandrelli e Valerio Mastrandrea, furono da antologia. Nel 2012 uscì il suo decimo lungometraggio, il ragazzo di Livorno aveva fatto strada. Tutti i santi giorni raccontava di due giovani che tentano di trovare una strada confrontandosi con ambienti culturalmente diversi tra loro. Nel film: Il capitale umano, del 2014, Paolo Virzì descrisse il tema della crisi finanziaria e della perdita dei valori che caratterizzava sempre più l’Italia. La pellicola vinse sei Nastri d’Argento e il Globo d’oro come miglior film italiano, secondo la stampa straniera. Il 2016 è l’anno in cui, Paolo Virzì dirige; La pazza gioia. Le protagoniste: Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi, raccontarono quel lato oscuro della mente, quei disturbi che spesso ci allontanano dal vivere quotidiano e fanno perdere di vista le cose importanti. È un film on the road, un Thelma e Louise, il riscatto che avviene attraverso la fuga. Un elogio al diventare invisibili per essere notati. Paolo Virzì ha raccontato l’involuzione culturale, economica e politica dell’Italia. Le sue pellicole hanno dato voce a quella classe operaia che ha perduto le sue connotazioni e non andrà in paradiso.