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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La resa degli Apuani (prima parte)

DiGian Luigi Telara

Ago 29, 2022

Prima di considerare la linguistica è necessario addentrarsi, un po’ di più, nella storia degli Apuani per capire meglio quale destino abbiano avuto i Liguri, un’antichissima popolazione, mescolatasi poi ai Celti, tanto da essere considerati un popolo celto-ligure. Nella zona apuana i Liguri subivano il contatto con le flange tirreniche più settentrionali del popolo etrusco, con cui sicuramente avevano punti di incontro per ragioni di commercio e di scontro, per i saccheggi dei celto-liguri operati ai danni degli etruschi.

Quel che appare subito evidente, ad un primo ascolto dalla calata degli autoctoni, è una discreta tipicità della lingua carrarina, ovvero la lingua parlata nella striscia da monte a costa, con le dovute differenze fortemente localizzate, rispetto alle forme linguistiche che si possono apprezzare in tutta l’estensione della antica Apua. Dando per vero che l’origine del tipico accento del dialetto di tutta la zona sia ligure, nella striscia territoriale carrarina, questa caratteristica linguistica è più accentuata che altrove, tanto da poter affermare che il dialetto di Carrara rappresenta l’esempio di un’isola linguistica di cui sarebbe un peccato non codificarne la fonetica.

Da quanto detto in introduzione, tutta l’area apuana ha subìto, nel tempo, contaminazioni linguistiche, che potrebbero aver appianato e smorzato l’accento dei Ligures, dove più, dove meno. Ma potrebbe, anche, essere che alcune caratteristiche linguistiche siano state invece potenziate da alcune di queste contaminazioni. Se un qualche influsso di questo tipo c’è stato, con ogni probabilità si è concentrato proprio nella fascia territoriale carrarese.

Dopo aver guardato in generale come avvengono le modifiche linguistiche nelle popolazioni, vediamo ora dunque, un po’ più nel dettaglio, cosa può essere accaduto nella zona di Carrara, attraverso l’analisi di ciò che accadde nel passato, prendendo in esame i periodi storici in relazione ai cambiamenti linguistici che hanno determinato.

Nella fase finale dell’Impero Romano, il primo impatto con le popolazioni straniere derivò dalla invasione degli Ostrogoti o Goti dell’est. I Goti erano originari della Scandinavia, come testimoniato ancora oggi da nomi geografici quali la città di Goteborg, l’isola baltica di Gotland nonché le regioni di Vastergotland (cioè “terra oc identale dei Goti”) e Ostergotland (ovverosia “terra orientale dei Goti”). Gli Ostrogoti travolsero la penisola italica con una massa di oltre 250 mila guerreri, tra il 488 e il 493, la penisola italica e presero il controllo sul regno di Odoacre, re degli Eruli, che controllava anche gli Uri, gli Sciri e altri popoli barbarici, e che, a sua volta, pochi anni prima, nel 476, aveva preso in mano le sorti di Roma. Odoacre non sconvolse gli equilibri interni dell’Impero Romano, e si propose come gestore della cosa pubblica. Esattamente come fecero i Goti che entrarono in Lunigiana nel 538.

Cassiodoro, consigliere di Teodorico, nel suo “Variae”, un carteggio scritto tra il 537 e il 540, che informa, in modo assai dettagliato, sugli usi e costumi e sulla storia dei Goti, così scrive in Variae IV.33 : “Il vero segno della civilitas è l’osservanza della legge. È questo che rende possibile la convivenza comunitaria, e che separa gli uomini dai bruti. Siamo lieti di accettare le vostre richieste di rinnovo dei privilegi garantiti a voi in precedenza…”, mentre in Variae II.27 aggiunge: “Non possiamo imporre una religione, perché nessuno può essere obbligato a credere contro la propria volontà”. È evidente, quindi, che i Goti subirono il fascino della romanità. Alla morte di Teodorico, nel 526, fu nominato suo successore, il nipote Atalarico, che all’epoca aveva solo dieci anni, per cui il trono venne retto da sua madre Amalasunta, figlia di Teodorico. Atalarico morì improvvisamente a 18 anni e nel 534 sua madre divenne regina a tutti gli effetti e decise di associare il suo trono a suo cugino Teodato, figlio di una sorella di Teodorico, il quale, dopo solo un anno dalla sua proclamazione a regina che, otto anni dopo, morì improvvisamente, per cui sul trono rimasto vacante, salì la madre di Atalarico, Amalasunta, figlia di Teodorico. al trono il cugino Teodato, che nel 535 fece in modo che venisse relegata sull’isola martana, nel lago di Bolsena e che, in seguito, lì venisse uccisa da membri della sua famiglia. L’uccisione di Amalasunta divenne il casus belli usato dall’imperatore di Bisanzio, il macedone Giustiniano, per intervenire militarmente in Italia, inviando il generale Belisario. Per diciotto lunghi anni l’Italia fu attraversata dalla guerra fra Goti e Bizantini, uscendone devastata e stremata, con la popolazione ridotta a mangiare pane fatto con la farina ottenuta dalle ghiande. Sotto il controllo bizantino, Roma stessa, dai più di due milioni di abitanti dell’età imperiale, era ridotta a non più di 20 mila.

I Goti chiusero il loro regno italico nel 553 con Teia. Molti Goti finirono nelle fila dell’esercito bizantino, andando a combattere contro i loro stessi consanguinei. Ma per questi popoli rozzi, abituati a soddisfare solo le prime necessità, la guerra rappresentava la normalità.

Si ripeteva quello che era già accaduto agli Apuani: popoli senza storia, senza una scrittura, quasi anarchici nel senso lato del termine, bellicosi, a struttura tribale, spesso in lotta tra loro, che facevano lavorare le donne, come già era stata usanza nei loro avi germanici e dei Ligures. Ecco perché i latini, per quanto fossero il popolo che aveva subito l’invasione dei Goti, riuscirono a travasare la loro cultura, nelle usanze dei vincitori.