• Sab. Nov 23rd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

L’arte come ricerca di sé: Paola Marchi

DiSelenia Erye

Ago 11, 2022

La prima mostra di Paola Marchi, artista eclettica che spazia dalla pittura alla scrittura, si tenne più di vent’anni fa nel comune di Massa. In quell’occasione, le sue opere, particolarmente foriere di emozioni, riscossero molto successo e furono molti i quadri venduti. Nonostante il tempo passato da allora, Paola Marchi ha ancora molto da dire e da creare. Attenta studiosa ed osservatrice di realtà quasi sconosciute, Marchi è un’artista coraggiosa, vibrante, volitiva ed inarrestabile, mai uguale a se stessa, per questo, assolutamente unica. Paola Marchi è originaria di Massa, classe 1975, dove ha frequentato il liceo scientifico Fermi. Ha una laurea in lettere moderne con tesi in storia del cinema sui rapporti tra cinema e pittura, conseguita all’università di Pisa. La formazione nelle arti figurative l’ha svolta all’accademia di Belle Arti di Carrara, dove ha maturato la sua passione per l’Art Brut e i pittori della transavanguardia. Collabora con la casa editrice esoterica Fontana Editore, per la quale ha pubblicato di recente una raccolta di novelle Sufi illustrate. È referente, per la zona di Barga, dove vive, del movimento internazionale Slow Art Movement che fa capo a Marco Poma. Il suo grande interesse per la psicologia del profondo ha determinato il punto di partenza di ogni suo percorso artistico, che è la ricerca di sé. Le sue opere sono state esposte di molte gallerie per mostre collettive e personali. Da circa 20 anni cura un blog molto seguito in Italia e all’estero. Da poco ha pubblicato il primo ebook dal titolo “Quaderni d’artista I, Barga portale cosmico orientato”.

È impossibile non provare forti sensazioni di fronte ad una delle sue opere: chi osserva i suoi lavori è portato a farsi domande, per entrare nel “profondo” di ciò che vede ed è quasi come compiere un viaggio esplorativo dentro la propria interiorità.

Di recente sono stata nella sua casa studio a Barga, dove vive, e lì ho avuto la possibilità di osservare, attentamente, il luogo in cui crea e dipinge. Le ho fatto domande ed ho cercato di comprendere il suo punto di vista sulle dinamiche della vita e dell’arte: sono stati momenti intensi e ricchi, anche perché sono pochi gli argomenti di cui non si può conversare con lei. Non sempre è stato facile per me comprenderla in quanto lei sta un passo avanti, immersa nella sua vena creativa ed è, veramente, una donna libera dagli schemi preconfezionati della società contemporanea. Di lei, si può dire, a ragione, che è un’artista che lascia il segno.

Lei, Paola, è una donna particolare, in continuo e costante mutamento, anche se mantiene una linea invisibile che fa da collante. Ci parli di lei e della sua concezione di vita…

Credo di essere un extraterrestre, ma ho ancora qualche dubbio. È per questo che sono interessata all’effetto che produco sugli altri. Sono seria. Per il resto, faccio le cose che fan tutti, lavoro, studio, mi occupo dei figli e vado a cena fuori.

Vive al “servizio” dell’arte, o meglio, sembra che sia l’arte a dettarle cosa creare. Può raccontarci il suo percorso artistico?

Sono una ricercatrice. Faccio ricerca nell’arte. Prima del Covid, avevo deciso di fare una personale all’anno ed ero partita in tromba con la mostra “Santa Subito” al Castello Malaspina di Massa (e già il titolo la dice lunga sulla considerazione che avevo di me stessa in quel periodo), poi con “Le stanze dell’apprendimento” a Pietrasanta: esperienza forte, che mi ha dato tante soddisfazioni in tutti i sensi, e, per finire, con “Bizarre Bazarre”, che è stato il mio ingresso ufficiale nella Milano dell’avanguardia artistica, o, almeno, in quello che resta. Lì ho potuto sentire l’eco dei grandi: studiarli all’università e poi ritrovarseli vicini, è bello. All’inizio, la sensazione è stata quella di “essere arrivata”. Poi mi sono accorta che era un’illusione: non si arriva mai, perché la vetta è, per sua definizione, “sempre un passo più in là”.

Cosa rappresenta l’arte per lei e per la sua quotidianità?

L’arte, per me, è un rifugio e anche una condanna. Sofferenza e piacere. Un po’ come una storia di amore e sesso travagliata.

Il mistero, l’ignoto e le leggi dell’universo ritornano spesso nelle sue opere. Perché?

Perché mi sono successe delle cose toste, ma non mi va di parlarne, mi scusi…

Ha all’attivo numerose collaborazioni con personaggi di un certo spessore, può raccontarci come sono nate queste intese intellettuali?

Se si riferisce a Marco Poma, posso solo dire che le frasi: “quando il discepolo è pronto il maestro compare” e “il discepolo ha bisogno del maestro, tanto quanto il maestro ha bisogno del discepolo” sono vere.

Cosa può definirsi arte secondo lei, e chi può arrogarsi il titolo di artista oggi?

A questa domanda preferisco non rispondere, sarei offensiva e, invece, devo imparare l’arte democristiana della diplomazia, che non mi appartiene per niente…

Quali opere le hanno trasmesso più delle altre e perché?

Ce ne sono tantissime, non saprei da dove cominciare.

La donna, il potere del sacro femminile vengono da lei raffigurati in molti dei suoi lavori. Cosa rappresentano per lei, cosa vuol narrare in proposito?

Una delle cose che ho fatto, quest’anno, e di cui sono più felice è un piccolo pamphlet, non in vendita, che spero di presentare con una performance affiancata dal mio maestro. Si intitola “Pic-nic all’origine del mondo”. Edito da Marco Maiocchi per la collana “I quaderni di Sisifo, prove di resistenza civile”. Sto sperando che la vita mi metta l’occasione su un piatto “aureo”, cioè. Per me: un pubblico sveglio, per presentarlo. Se accadrà, parlerò anche della mia esperienza col sacro femminino. Intanto, approfitto di questa domanda per fare pubblicità a un altro testo che ho scritto sull’argomento e pubblicato su Amazon a 0.99 cent (proprio per facilitare la circolazione) e scaricabile sul cell (quindi accessibile a chiunque sia interessato). Si intitola “Barga portale cosmico orientato” e fa parte della collana dal titolo “Quaderni d’artista”, che ho messo sempre su Amazon. Lì, parlo di alcune cose che reputo interessanti in merito alla domanda che mi ha posto.

L’impressione che io ho riportato della sua arte mi fa dire che, nei suoi lavori, il suo corpo simboleggia il corpo dell’artista stesso. Com’è è arrivata a questa consapevolezza corporea?

Ho iniziato una collaborazione artistica, di cui sono molto contenta, con una fotografa che stimo tantissimo. Stiamo lavorando proprio su questo. La consapevolezza corporea l’ho ottenuta attraverso traumi che non auguro a nessuno, ma che hanno avuto la funzione di ricordarmi che ho un corpo, perché spesso me ne dimentico.

In libreria è possibile trovare il suo libro illustrato di Novelle Sufi, com’è stata questa esperienza?

L’esperienza col sufismo è stata importante e mi ha segnata, soprattutto l’interazione breve con Gabriele Mandel Khan. Ne parlo nell’introduzione al libro da lei citato. Quest’inverno l’ho usato coi bambini ed è stato bellissimo. Un’esperienza che ha lasciato il segno, per la quale devo ringraziare anche l’editore Fontana di Trento, per avermi permesso di farla. Il libro lo consiglio a grandi e piccini perché è un libro vivo. Io mi sono limitata ad illustrare ciò che esiste da millenni (le storie sapienziali della tradizione sufi) che sono note a un certo tipo di ricercatore.

Lei affronta anche il tema delicato della morte, come vive lei l’idea di questo passaggio?

La morte esiste ed è democratica: tocca a tutti, è la livella. “E il giorno della fine non ti servirà l’inglese” ha detto Franco Battiato. Non c’è altro da aggiungere.

Il futuro e l’ignoto cosa significano per lei?

Vivo il presente e il futuro è una conseguenza, l’ignoto… meno male che esiste.

Come si vede e cosa vede in un futuro lontano? Ci saranno molti cambiamenti, che realtà ci si prospetterà?

Non mi guardo più e non penso al futuro lontano.

Lasci, se lo desidera, un messaggio alle persone che stanno leggendo la sua intervista…

Non saprei cosa dire, quindi preferisco non lasciare nessun messaggio.

Foto per gentile concessione di Paola Marchi