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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Ricordando Pascoli, professore a Massa, il 10 agosto…

DiVinicia Tesconi

Ago 10, 2022

Quello al liceo classico Pellegrino Rossi di Massa, fu il secondo incarico da insegnante per Giovanni Pascoli. Si era laureato a Bologna, sotto la guida di Giosuè Carducci, suo professore, nel 1882. Con grande emozione aveva accettato, subito, la prima cattedra a Matera e, dopo due anni, quella a Massa, dove rimase per tre anni scolastici consecutivi. L’insegnamento era il suo progetto di vita e Pascoli lo affrontava con giovanile entusiasmo e con un incredibile e modernissimo approccio didattico. Nel programma di insegnamento da lui redatto per il liceo Rossi, nell’anno scolastico 1884-’85, spiegò la sua intenzione di voler insegnare ai ragazzi “con discrezione e ragionevolezza, onde quello degli alunni sia «lavoro», non «travaglio». Il mio sogno è di ridestare, prò virili portione, ne’ cervellini d’oggi giorno le memorie antiche soffocate o nascoste sotto le frasche moderne, di riamicare ai loro progenitori queste coscienze illanguidite dalle ebbrezze della novità; di restituire alle loro menti il gusto della bellezza, che è piuttosto allontanata che vanita, e l’abito del ragionare che s’è piuttosto smarrito che perduto”. Lo scontro con la realtà, specialmente per una sensibilità sognatrice ed esposta come quella del Pascoli, lo costrinse a rivedere le sue aspettative: gli studenti si rivelarono, per i parametri suoi e del suo tempo, poco interessati e ancor meno appassionati. Definizioni, peraltro, applicabili ad ogni successiva generazione scolastica, se pur con un costante, progressivo, vertiginoso aggiustamento al ribasso che ha portato fino ai nostri giorni. Ma Pascoli era un buono e, soprattutto adorava insegnare e amava talmente la letteratura latina e quella greca da lasciarsi facilmente trasportare, anche nel corso delle lezioni che teneva in classe. La frase tradotta dal greco: “Sarò buono con gli agnelli e feroce coi lupi” che Pascoli fece scrivere alla lavagna a un alunno, nel suo primo giorno in classe al liceo Rossi, in realtà non vene mai messa in pratica, nella sua seconda parte. Pascoli, se pur perplesso, a volte, sulla scarsa attitudine o sullo studio interpretato solo come espletamento di un dovere che notava in molti suoi alunni, interpretava la scuola in senso molto moderno, mostrando la capacità, rarissima per i tempi in cui insegnava, di comprendere la vivacità e il bisogno di muoversi dei ragazzi, e di valorizzarne la personalità accogliendone anche gli aspetti più inquieti e fuori dal pensiero scolastico comune. Straordinaria è infatti la lettera che Pascoli inviò al preside del liceo Rossi, nella quale spiega la sua scelta di valutare i ragazzi solo in base alle prove orali: “In questo primo bimestre mi sono occupato a sperimentare i giovani a provvederli delle cognizioni delle quali avevano difetto, a prepararli al lavoro assiduo e progressivo che farann di qui innanzi. Perciò ho assegnato loro pochi lavori domestici, specialmente scritti, premendomi che prima di fare sapessero come dovevano fare. La classificazione quindi che io le presento è dedotta più dalle orali scolastiche che dalle domestiche scritte, ed è perciò unica e complessiva, e riesce meglio un’estimazione dell’attitudine de’ giovani che una votazione del loro progresso. Se a lei importasse aver la votazione doppia, potrà ripetere il numero della votazione complessiva.”. L’atteggiamento di Pascoli nei confronti dei suoi allievi era sempre improntato alla comprensione e, solo allo stremo della sua pazienza, per comportamenti eccessivamente esuberanti, poteva arrivare a lanciare occhiatacce che si risolvevano, comunque, presto in un sorriso. Passava ogni mattina per le vie del centro, di Massa, da via della Zecca, dove abitava a via Palestro dove si trovava il liceo Rossi, con abiti dimessi e i libri sotto al braccio, spesso immerso nei suoi pensieri, ma sempre puntuale, per rispetto alla scuola e agli studenti. Nel tragitto, si racconta, aveva individuato una figura di giovane donna affacciata alla finestra che gli ispirò la lirica “Fine d’autunno”. Per la pazienza e la disponibilità mostrata nei confronti di un suo alunno, riuscendo a dissuaderlo dall’abbandonare gli studi, ricevette in dono, dalla famiglia del ragazzo, un orologio d’oro che, a sua volta, donò al fanciullo quando terminò gli studi. Nel 1887 venne trasferito a Livorno, al Ginnasio-Liceo “Guerrazzi e Niccolini”, dove insegnò per otto anni. In quel periodo cominciò a collaborare con la rivista Vita nuova su cui uscirono le prime poesie di Myricae. Nel 1894 gli venne offerto un lavoro al ministero dell’istruzione a Roma e, due anni dopo, compose la poesia dedicata al giorno che sconvolse tutta la sua esistenza: “X Agosto”.

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Fonti:
Dal volume “Giovanni Pascoli a Massa” Biblioteca civica di Massa, 1988, Curato da Rodolfo Polazzi Testo di Luigi Mannucci, professore di latino e greco presso il liceo P. Rossi
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