Rina
Mi secca che quei mocciosi possano avere dei sospetti. Uffa! Al diavolo il riposino pomeridiano. Dov’è la chiave di ferro, quella della porticina delle scale di servizio? Cerco nel cassetto degli utensili. Tutto è alla rinfusa, ma la trovo. Non mi piace troppo andarmi a ficcare giù per le scalette scalcagnate, però, ormai, ho deciso. Madonnina, aiutami tu! Ci sono ragnatele grigie che disegnano pizzi molto estesi. Più in basso, sul muro scrostato quel Che Guevara con la barba lunga e gli occhi di carbone mi fissa da un poster. Svio lo sguardo e, automaticamente, accosto l’orecchio al retro della porta che dà sulla cucina della bambina. Mi giunge proprio la voce di Silvia.
“Quella Rina è strana, e ora anche la storia del libro trovato al posto dei miei stivali. Chi altro può essere stato, se non lei? Perché non passiamo dalle scalette di servizio, andiamo su e proviamo ad entrare nella loro cucina?”
Madonnina mia. Il cuore mi va in gola. Risalgo le scale con le gambe che tremano. Appena in tempo per raggiungere il nostro appartamento e battermi la porta alle spalle. E se davvero volessero salire ed entrare, ora? Rina, calma: hai il vantaggio su di loro. Quasi quasi non chiudo la porta a chiave. Li spierò senza farmi vedere. Gli faccio credere di avere in mano il gioco, poi li sistemo io. Vediamo intanto cosa fanno. “Bianchina, sapete? Forse più tardi vengono i due frugoli del palazzo a farvi una visitina. Tommaso e la Silvia, ricordate? Non è una cosa meravigliosa?” …
Tommaso
Gli scalini sono tutti rotti, mancano delle assi. Dobbiamo fare attenzione: per terra ci sono legnetti e qualche chiodo arrugginito. Arriviamo sul pianerottolo del piano di sopra. Un quadro enorme è appoggiato in terra. È polveroso ma si vede cosa raffigura. Un uomo e una donna. Lui severo, lei triste. C’è scritto: Fosco e Waltrude, 1895. Eccoci di fronte all’uscio che dovrebbe portare nella loro cucina. Tiro fuori il bicchiere che abbiamo portato con noi e ce lo appoggio bene. Faccio per accostare l’orecchio, ma sento cedere la porta. È socchiusa! Silvia sgrana gli occhi impazienti. Lo so, lei vorrebbe entrare. Io non sono coraggioso come lei o come Luca Tortuga, il mio eroe con lo spadino! Ho timore di trovarmi faccia a faccia con la Rina, che gira dentro casa col suo naso da aquila. Mi rammenta l’uccello rapace di Zagor. Con lo sguardo prego Silvia di aspettare, fermi e zitti. E così facciamo, finché una frase urlata non ci fa sobbalzare.
“Bianchina, io esco! Scendo in farmacia!”
Con un’espressione implorante Silvia mi invita ad entrare. Se non ora, quando? Dai, Tommaso! Mi faccio coraggio e ci muoviamo allo stesso momento. Il bicchiere cade in mille pezzi. Vorrei scappare. Silvia porta l’indice alla bocca, poi mi prende per mano. Entriamo. “Frrr, frrr”. Qualcosa, qualcuno. Il cuore mi batte a mille. Un gatto, è solo un gatto. Piccolissimo, inoffensivo. Non c’è nessun altro in cucina. Tiro un sospiro di sollievo. Con un’occhiata complice siamo d’accordo. Attraversiamo la cucina e andiamo avanti per un corridoio fino ad un salottino. Ho un piccolo tonfo al cuore. La contessa è lì. Sul divano…
Illustrazione di Elisa Cecconi Menconi classe III A liceo artistico Gentileschi di Carrara