Oggi siamo abituati a sintonizzarci sui vari canali televisivi e vedere donne inviate sui fronti delle varie e troppe guerre attive. Esiste sempre qualcuno che apre la strada al presente, sono quelle persone che hanno il coraggio di ribaltare situazioni stagnanti che resistono da troppo tempo. Oriana Fallaci nacque a Firenze alla fine di giugno del 1929. Suo padre attivista politico socialista e antifascista, la coinvolse nelle lotte partigiane. Oriana Fallaci fu la staffetta delle Brigate giustizia e libertà, un battesimo che sarà propedeutico per ciò che sarebbe stato il suo futuro.
Dopo la guerra conseguì la maturità presso il liceo classico “Galileo”. Si iscrisse alla facoltà di medicina e poi a quella di lettere. Lasciò gli studi per dedicarsi al giornalismo, suo zio Bruno la spinse verso quel mestiere per il quale la vedeva incline. In quel periodo, Oriana Fallaci conobbe Curzio Malaparte, fu un maestro che influì sulla sua scrittura. Esordì al Mattino dell’Italia centrale, un quotidiano fiorentino di ispirazione cattolica. Si rifiutò di scrivere un articolo contro Palmiro Togliatti e interruppe la collaborazione. Si trasferì a Milano dove iniziò a collaborare con il settimanale Epoca, diretto da suo zio Bruno, seguendo il quale nel 1954, si trasferì a Roma per collaborare con l’Europeo. Sarebbe stata la sua base operativa fino al 1971. Era il periodo della dolce vita, Oriana Fallaci venne catapultata in quella realtà densa di spunti per raccontare un paese che stava cambiando. Nel 1956 fu inviata New York per raccontare di divi e mondanità. Raccolse il materiale per il suo primo libro; I sette peccati di Hollywood, la prefazione fu firmata da Orson Welles.
Tornata dagli Stati Uniti incontrò Alfredo Pieroni, i due ebbero una relazione. Oriana Fallaci si accorse di essere incinta, per sua sfortuna ebbe un aborto, rischiando lei stessa la vita. Cadde in depressione e tentò il suicidio ingerendo una dose massiccia di sonniferi. Nel 1961 realizzò un reportage sulla condizione della donna in Oriente. Quel materiale divenne un saggio; Il sesso inutile, un successo editoriale enorme. Nel 1962 pubblicò: Penelope alla guerra, il suo primo romanzo. Intervistò Wernher von Braun, uno scienziato tedesco che aveva collaborato con i nazisti e che era divenuto direttore della Nasa per il progetto Saturn. Oriana Fallaci descrisse quel disagio etico nel libro; Se il sole muore.
Nel 1967 divenne corrispondente per l’Europeo in Vietnam, la prima donna giornalista su un fronte di guerra. Raccontò con lucidità gli errori e gli orrori commessi in entrambi le fazioni. Arrivò il 1968, l’anno delle contestazioni studentesche, delle violenze ai Giochi olimpici di Città del Messico, dove peraltro rimase ferita. Fu la stagione degli omicidi di Martin Luther King e Bob Kennedy, uomini che avrebbe voluto cambiare un paese sempre sospeso tra modernità e tradizione. Nel 1969 assistette all’evento più significativo del ventesimo secolo, la corsa allo spazio che gli americani vinsero grazie alla missione Apollo 11.
Arrivarono gli anni ‘70 e furono pregni di avvenimenti personali e collettivi e cambiarono per sempre la percezione del mondo di Oriana Fallaci. Nel 1973 conobbe Alexandros Panagulis. Era il leader dell’opposizione greca al regime dei Colonnelli. Panagulis era stato incarcerato, torturato e Oriana Fallaci ne divenne sostenitrice e compagna di vita, fino alla sua morte avvenuta nel 1976 in un misterioso incidente automobilistico. Oriana Fallaci rimase incinta e perse il bambino a causa di un aborto spontaneo. Da quel dolore trasse un libro: Lettera a un bambino mai nato. Quelle pagine furono un pugno nello stomaco per tutte quelle donne che non avevano potuto avere un figlio. In quegli anni intervistò tutte le personalità politiche, intellettuali e artistiche. Tra queste ci fu quella all’ayatollah Khomeini. Durante l’intervista Oriana Fallaci si tolse il chador e lo apostrofò come tiranno, in quel momento era tutte le donne iraniane, era tutte le donne non considerate nel mondo. Nel 1976 sostenne il Partito Radicale nelle battaglie femministe e per i diritti violati.
Negli anni ‘80 si trovò nuovamente sul fronte di guerra al seguito della Forza Multinazionale in Libano. In quel periodo conobbe Paolo Nespoli che poi sarebbe divenuto astronauta, i due ebbero una relazione durata cinque anni. Nel 1990 raccontò la sua esperienza a Beirut nel romanzo: Insciallah. Si ritirò a vivere a New York, lontana dalla sua Toscana, da quel paese che stentava a riconoscere. Qualche anno dopo scoprì di avere un cancro ai polmoni, attribuì il suo male a quello che aveva respirato in Kuwait seguendo la guerra del golfo nel 1991. Dopo l’11 settembre i suoi articoli, i suoi libri, divennero di attualità. Aveva sempre denunciato il fondamentalismo islamico e riteneva che l’immigrazione verso l’Europa fosse uno strumento politico per esercitare sentimenti di reciproca intolleranza. Continuò a dire la sua in modo tagliente e con la preparazione acquisita sul campo. In prossimità della fine, espresse la volontà di tornare a Firenze, di lasciare la terra guardando l’Arno dal Ponte Vecchio. Voleva chiudere gli occhi davanti al quartier generale dei partigiani che comandava suo padre, di fronte a quei ricordi di giovane rivoluzionaria che avrebbe cambiato il volto delle giornaliste, che avrebbe incoraggiato a intraprendere questo mestiere tanto bello quanto difficile, quando si vuole raccontare la verità.