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Diari Toscani

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Piero Calamandrei: il signor Costituzione

DiPierluigi Califano

Lug 9, 2022

Citiamo spesso gli articoli della Costituzione. Quelle leggi fondamentali che ci hanno donato i padri fondatori della Repubblica. Bisognerebbe citare anche i nomi e cognomi di coloro che la redassero. Dovremmo farlo, perché malgrado le piccole incongruenze, ci consente di vivere in questa fragile ma importante democrazia.

Piero Calamandrei nacque a Livorno il primo giorno di primavera del 1889. Il toscano andava veloce e si laureò nel 1912 in giurisprudenza all’Università di Pisa. Nel 1914 si trasferì in una Roma sospesa tra i due secoli che l’avrebbero cambiata per sempre. Dopo vari concorsi vince una cattedra all’Università di Messina. Arrivò la Prima guerra mondiale e Calamandrei non si tirò dietro. Partecipò come ufficiale volontario e si dimise dai suoi ruoli accademici. Nel frattempo, si sposò con Ada Cocchi e I due ebbero un figlio, Franco. Ritrovò I suoi ruoli accademici alla fine del conflitto. Fu chiamato all’Università di Modena e poi quella di Siena. Nel 1924 passò alla facoltà giuridica dell’Università di Firenze, terrà la cattedra fino alla morte.

Il fascismo prese il potere. In certi momenti della storia si deve decidere da quale parte stare, Piero Calamandrei non ebbe dubbi. Insieme ai fratelli Rosselli e Dino Vannucci, partecipò al gruppo clandestino: Italia libera. Era una formazione di ispirazione antifascista e in qualche modo repubblicana. Nel 1925 sottoscrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Eppure, durante il ventennio fascista, Piero Calamandrei pur di continuare ad insegnare e donare la sua sapienza, scese a patti con Mussolini. Partecipò insieme a Dino Grandi, il ministro di Grazia e Giustizia, alla stesura dei nuovi codici di procedura civile.

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando inizia a mancare”. Piero Calamandrei pronunciò questa frase alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Nel 1942 aderì al Partito d’Azione, insieme a Ferruccio Parri e Ugo La Malfa. Nel 1943, alla caduta del fascismo, fu nominato Rettore dell’Università di Firenze. Suo figlio Franco fu un partigiano attivo al fronte, Piero scrisse numerose poesie e pensieri sulla resistenza. L’Italia uscì con le ossa rotte dalla guerra, bisognava riformare il paese per non ricadere in pericolose dittature. Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale in quota al Partito d’Azione. Dopo il referendum tra Monarchia e Repubblica, nacque l’Assemblea Costituente e Piero Calamandrei fu chiamato a farne parte. Propose la sua idea, immaginò una Repubblica presidenziale sul modello degli Stati Uniti oppure un sistema di premierato su quello del Westmister britannico. Piero Calamandrei aveva timore della debolezza di governi di modello diverso, come in effetti è stato nel corso di questa giovane democrazia.

Quando si sciolse il Partito d’Azione confluì nel Partito Socialista Democratico Italiano. Nel 1948 fu eletto deputato. Roma divenne la sua casa, quella nella quale pensare ed agire sempre per il bene degli italiani. Fu contrario alla Legge Truffa, quel premio maggiorativo alla coalizione che avesse avuto il 50 per cento dei voti validi. Gli sembrò eccessivo che la stessa coalizione potesse governare con il 65 per cento del Parlamento, avendone soltanto il 50%. Negli anni che seguirono scrisse decine di articoli, pubblicazioni. Diede un contributo attivo al Consiglio Nazionale Forense, del quale fu Presidente.

Piero Calamandrei credeva nella libertà, in quella di pensiero e azione. Nel 1956, il pacifista Danilo Dolci, organizzò uno sciopero non violento contro la mancanza di lavoro, in difesa dei braccianti siciliani. Dolci fu arrestato e Piero Calamendrei decise di difenderlo citando il quarto articolo della Costituzione. La Repubblica riconosceva il diritto al lavoro e con esso quello di ogni cittadino di svolgerlo secondo le proprie possibilità, al fine di un progesso materiale e spirituale della società. Fu quello il suo ultimo gesto di generosità verso il prossimo. Piero Calamandrei ha lasciato questa terra, la sua Toscana e Roma con la sua politica imperfetta, nel settembre del 1956. È sepolto nel cimitero fiorentino di Trispiano. È stato uno dei padri della Costituente, della quale ricordiamo gli articoli, talvolta qualche protagonista, tuttavia non rimebriamo la genesi e una sua frase ne fissa I contorni.

“Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo nel quale è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero I partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché è lì che è nata la nostra Costituzione”.