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Diari Toscani

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Giotto di Bondone: la leggenda della pittura

DiPierluigi Califano

Lug 2, 2022

Generazioni di fanciulli sono cresciuti colorando con quei pastelli, pennarelli, annusandoli cercando di trarne un profumo ancestrale. Chissà quanti di loro si sono chiesti perché si chiamassero: Giotto. Non potevano immaginare che stessero provando a riprodurre, grazie a quei pastelli, l’arte di uno dei più grandi pittori italiani.

Giotto di Bondone, il nome di suo padre, nacque nel 1267 a Vicchio nel Mugello. Si trasferì con la famiglia a Firenze, ebbe modo di essere affidato alla bottega di Cimabue. Talvolta gli esseri umani diventano leggenda loro malgrado. Su Giotto circolavano credenze che hanno attraversato i secoli: la sua famosa circonferenza, quella “O” che ognuno di noi ha provato a riprodurre con scarsi risultati. Da buon toscano aveva il gusto della burla. Una volta dipinse una mosca sulla tavola di Cimabue, era talmente realistica che Cimabue provò a scacciarla.

Nel 1287 Giotto si sposò con Ciuta di Lapo del Pela. Ebbero ben otto figli, quattro femmine e quattro maschi. Aveva un profondo legame per i luoghi natii, una delle sue prime opere è ancora conservata in Mugello. Aprì a sua volta una scuola e insegnò ai suoi alunni a progettare. Si può asserire con certezza che Giotto fu un neorealista. Le sue opere si allontanavano dall’astrattismo dell’arte bizantina. Il naturalismo giottesco, l’esplorazione delle emozioni umane che vennero riprodotte senza filtri. Anticipò di qualche secolo il verismo di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il suo peregrinare artistico lo condusse da Firenze ad Assisi, dove lavorò per la decorazione a fresco della Basilica Superiore. Tornò nella sua Firenze per il capolavoro del grande Crocifisso di Santa Maria Novella.

Nel 1300 Giotto giunse a Roma e lavorò per Papa Bonifacio VIII. Il Liber Benefactorum della Basilica di San Pietro in Vaticano, opera che oggi è collocata nel portico della Basilica. Lavorò per il Giubileo del 1300 e si avvicinò alla scuola romana. Tornò a Firenze, poi si recò a Rimini per riprodurre una miniatura, conservata oggi alla Fondazione Cini di Venezia. Tra il 1303 e il 1305 si recò a Padova su commissione si un ricchissimo banchiere, Enrico Scrovegni. Giotto lavorò all’affresco della Cappella degli Scrovegni, un’opera oggi considerata Patrimonio Unesco. L’opera di Giotto ebbe il merito di fondere la pittura con l’architettura. Gli ambienti naturali e le scatole prospettiche diedero una nuova linfa a ciò che era stata fino a quel momento l’arte pittorica. La cromia, le forme, furono completamente sovvertite, Giotto riuscì a mantenere la stima che Cimabue aveva di lui.

Tra il 1306 e il 1311, lavorò per la Basilica inferiore di Assisi. Le allegorie francescane occuparono le mura della Basilica. Nel 1313 tornò a Roma per eseguire il Mosaico della Navicella degli Apostoli. Giotto affittò una casa, Roma lo accolse con la sua inclusione. Si trattenne per qualche tempo; all’epoca il maggior finanziatore delle opere artistiche era la chiesa. Tornò a Firenze e la Maestà di Ognissanti, la Dormitio Virginis, rappresentarono la sua maturità artistica. Giotto riusciva sempre più a giocare con la parte architettonica della pittura, lo spazio era un elemento nel quale far interagire le figure che voleva rappresentare. Nel 1318 affrescò le quattro cappelle di Santa Croce a Firenze. La Cappella Bardi, che rappresentava la vita di San Francesco. La Cappella Peruzzi, la vita di San Giovanni Battista e le Cappelle Giugni e Tosinghi Spinelli che si persero nel tempo.

Nel 1328 venne chiamato dal Re Roberto d’Angiò a Napoli. La sua fama lo precedeva e venne nominato famigliare della famiglia reale. Di quel periodo partenopeo rimangono: la Lamentazione sul Cristo Morto in Santa Chiara e le figure di Uomini Illustri dipinti nella Cappella di Santa Barbara in Castelnuovo. Continuò il suo peregrinare e si trovò a Bologna nel 1333. Firmò il Polittico della chiesa di Santa Maria degli Angeli. Giunse il periodo delle figure solide, dei forti chiaroscuri.

Gli ultimi anni della sua vita furono caratterizzati dal lavoro di architetto, fu come se avesse già detto tutto ciò che c’era da dire a livello pittorico. L’arte è emozione per chi la guarda, la legge e per chi la compone. Se la voglia di raccontarsi inizia a scemare è meglio fare un passo indietro. Visse per un breve periodo a Milano e poi tornò a Firenze con il lascito artistico della Cappella del Podestà nel palazzo del Bargello, un ciclo di affreschi che oggi è purtroppo in cattivo stato di conservazione. Giotto di Bondone, la leggenda della pittura si spense agli albori del 1337, all’età di 70 anni per l’epoca veneranda. Chissà se le generazioni di fanciulli che hanno provato a dipingere con quei colori, conoscano chi fu Giotto da Bondone, quale è stata ed è la sua importanza per l’arte del nostro paese. Si continuerà a dipingere con quei pastelli sognando di trasformare i sogni in realtà.