A Carrara votarono 34 mila 608 persone: 29 mila 631 scelsero la repubblica e solo 3 mila 792 votarono per la monarchia. 1185 furono le schede bianche, 790 i voti non validi. Il 2 giugno del 1946 i carrarini non ebbero dubbi: volevano la Repubblica. Forse a spostare così tanto il voto a favore della Repubblica, nel più famoso referendum della storia del paese, furono proprio quelle donne di Carrara, che, come tutte le donne d’Italia, vennero ammesse a votare per la prima volta. La guerra era una ferita apertissima, che, nell’anno trascorso da quando le bombe avevano smesso di cadere, non aveva neppure cominciato a rimarginarsi. E la memoria delle donne è lunga come quella degli elefanti, specialmente se è costellata di dolore e di coraggio. Le donne di Carrara che il 2 giugno, andarono a votare, alcune con orgoglio, altre, le più, ancora un po’ intimidite dal riconoscimento di un diritto, che avevano sempre visto come appannaggio solo degli uomini, sicuramente, le ferite lasciate dalla guerra ce le avevano ancora vivide, sulla loro pelle. Tra loro c’erano le passionarie che si erano opposte alla distruzione della città da parte del comando tedesco l’11 luglio di soli due anni prima, c’erano quelle che avevano ballato davanti ai fucili dei nazisti, quelle che avevano minacciati i soldati tedeschi coi forconi per raccogliere il fieno, quelle che avevano rovesciato in faccia ai vertici del comando tedesco i banchi con la verdura nel mercato di piazza delle Erbe, quelle che semplicemente avevano seguito le più ardimentose, tra la paura e la certezza di fare una protesta giusta. C’erano anche quelle che avevano aiutato fratelli, padri, fidanzati impegnati nella battaglia contro i nazifascisti sui monti intorno alla città e quelle che avevano perso legami grandi, in quella lotta. C’erano le donne che erano rimaste in silenzio per un tempo davvero troppo lungo, ma non per questo non avevano osservato e pensato e attribuito le colpe. L’Italia era allo stremo determinato dalla guerra al termine di vent’anni di un regime fascista, che, nell’anarchica Carrara, aveva lasciato un segno ancora più incisivo che in altri luoghi. E le donne di Carrara, anche quelle che non avevano mai fatto nulla per ribellarsi, avevano comunque visto. Quel 2 giugno del 1946 fu la prima occasione in cui tutte poterono dire la loro: senza rivolte, senza violenze, senza neppure alzare la voce. Semplicemente con una croce nel quadratino sotto alla parola Repubblica e vicino all’immagine dell’Italia turrita, un profilo di donna con in testa una corona di mura fortificate, simbolo ottocentesco dell’origine di moltissime città italiane delimitate da cinte murarie, disegno contrapposto allo stemma dei Savoia che indicava l’opzione monarchia. Le raffigurazioni erano state necessarie per l’altissimo numero di persone, specialmente donne, che non sapevano leggere.
L’Italia scelse la repubblica, ma la forbice tra favorevoli e contrari, a livello nazionale non fu affatto così ampia come quella registrata a Carrara: per la repubblica votò il 54,3 per cento degli aventi diritto, a fronte del 45,7 che scelse la monarchia. Carrara, con la sua percentuale dell’88 per cento a favore della repubblica risultò, insieme a Ravenna, la città più repubblicana d’Italia. Le donne di Carrara diedero il loro giudizio: voltare pagina, verso una solida democrazia per fare in modo che quelle ferite non venissero più inferte a nessuno.