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Diari Toscani

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Giorgio Chinaglia: Achille e il calcio di una volta

DiPierluigi Califano

Mag 21, 2022

Quel dito puntato verso la curva avversaria, quel gesto di sfida dopo una battaglia vinta. Paragonare Giorgio Chinaglia ad Achille, l’eroe greco, il semidio che aveva sconfitto i troiani, viene naturale. Chi ha vissuto il calcio degli anni ‘70, quello genuino, fatto di passioni ed eccessi, ha certamente amato oppure odiato, Giorgio Chinaglia, un calciatore, un uomo, eccessivo in ogni sua manifestazione.

Nasce a Carrara nel gennaio del 1947, è l’Italia povera del dopoguerra, quella in cui la gente è costretta ad emigrare. Suo padre Mario, insieme alla moglie e la sorella di Giorgio, emigrano in Galles, per lavorare in una miniera. Il piccolo Giorgio rimane a Carrara insieme alla nonna, poi li raggiunge nel 1955. Dopo aver lavorato qualche tempo in miniera, suo padre apre un ristorante, Giorgio alterna il lavoro da cameriere ai primi approcci con il mondo del calcio. Il suo carattere duro come il marmo di Carrara, si intuisce quando rifiuta il provino con il Cardiff e firma con lo Swansea City, anche se il club scelto finisce per subire le sue intemperanze.

Mario Chinaglia decide che è arrivato il momento di tornare in Italia, il richiamo delle origini è forte. Giorgio inizia a giocare con la Massese, è tornato a casa. Dopo una stagione passa all’Internapoli, una squadra con origini antiche dalle maglie bianco celesti, il suo destino sembra già segnato. L’Internapoli sfiora la serie B e Chinaglia si mette in luce insieme a quel difensore elegante dal cognome e le origini anglosassoni, Pino Wilson.

Nel 1969 i due compagni di squadra vengono acquistati dalla Lazio, è l’inizio di una lunga storia, tanto bella quanto travagliata, come in fondo è la nostra esistenza. Giorgio Chinaglia arriva a Roma, stanno iniziando gli anni ‘70, quelli di conquiste sindacali, diritti e piombo. Le vittorie conquistate vanno di pari passo agli eccessi, si narra di giocatori che arrivano all’allenamento con armi da fuoco. Quella Lazio è una squadra meravigliosamente controversa. Ha una gestione patriarcale, quella di Lenzini, un ex calciatore, divenuto costruttore, nato negli Stati Uniti. Ha un allenatore che riesce a tenere unito uno spogliatoio che è una polveriera, Tommaso Maestrelli, un tecnico che amava la zona totale olandese, il padre putativo della squadra.

La Lazio vola, sfiora uno scudetto, lo vince l’anno successivo. È il 12 maggio del 1974, quello stesso giorno in Italia passa il referendum abrogativo per il divorzio. Non partecipa alla coppa dei campioni, perché l’anno precedente viene squalificata a causa di una rissa scatenata dai giocatori verso l’arbitro, è una squadra yin e yang.

Chinaglia è un mito per i tifosi laziali, non passa davvero inosservato per le altre tifoserie. Gli dedicano canzoni, gli Squallor inventano addirittura un vangelo secondo Chinaglia. Canta lui stesso per la colonna sonora di un film, Rino Gaetano lo cita in un suo brano.  Passa dai successi a mandare a quel paese il tecnico Valcareggi durante i mondiali in Germania nel 1974. Sfida come Achille i tifosi avversari della Roma, incendia gli animi. Ha un modo di giocare particolare, sembra caricare a testa bassa l’area di rigore antagonista, pare voler buttare giù a spallate qualsiasi ostacolo, probabilmente deriva dalla sua infanzia difficile e quel carattere toscano, carrarino, che gli scorre nelle vene.

Giorgio Chinaglia ama la Lazio viene ricambiato, tuttavia qualcosa sembra rompersi. Si sposa con Connie negli Stati Uniti e si innamora dello stile di vita americano. Inizia un braccio di ferro con il presidente Lenzini, Tommaso Maestrelli prova a fare da mediatore, purtroppo di ammala gravemente, è il 1975. La Lazio rimane orfana di Chinaglia che vola in America nel maggio del 1976, riesce a salvarsi grazie al ritorno di Maestrelli sulla panchina, il tecnico del primo scudetto morirà nel dicembre dello stesso anno. Giorgio Chinaglia gioca con i Cosmos, insieme a Pelé e Beckenbauer, il calcio in America è ancora più spettacolo che sport.

Arrivano gli anni ’80, quella Lazio non c’è più, il tempo delle vittorie e gli eccessi sembra lontano, l’amore di Giorgio Chinaglia per quei colori è immutato. Nel 1983 diviene presidente, il suo intento è quello di riportare la squadra agli antichi splendori, spesso i sogni si scontrano con dolorose realtà. Chinaglia è costretto a lasciare la mano, Achille deve tornare nelle retrovie, sembra davvero l’Iliade.

Giorgio Chinaglia per troppo amore si è fidato delle persone sbagliate, il toscano coriaceo viene tradito per quel cuore troppo grande, quella voglia di spaccare il mondo, vincere il suo stesso destino. Nelle nostre esistenze arrivano dei segnali, dobbiamo essere in grado di coglierli, imparare ad accelerare e frenare al momento giusto. Giorgio Chinaglia non ha mai imparato a frenare, ha sempre corso come Achille piè veloce, ha affaticato il suo cuore che ha smesso di battere il primo aprile del 2012 a Naples, negli Stati Uniti. Oggi resta un mito per i tifosi della Lazio, perché chi dona tutto ciò che possiede per un ideale, è un eroe, un semidio.