È originario di Massa e vive tra Massa e Sarzana, in quella terra apuana a cui è profondamente legato sin da quando era un bambino. Nicola Iacopetti, 35 anni, è un giovane scrittore studioso di storia locale e di fenomeni culturali, sempre al passo con i tempi. Un osservatore critico della realtà in cui vive, incapace di vivere senza porsi domande e cercare risposte per sfamare la sua voglia di sapere.
Nel 2016 ha pubblicato il suo primo libro L’antro delle Apuane per Eclettica Edizioni, nel quale ha indagato nel mondo delle leggende e della storia di Massa e dintorni. Ad aprile di quest’anno è uscito il suo secondo libro dal titolo Uomini di pietra, edito da Porto Seguro, una storia di cavatori ambientata a metà dell’’800, in un mondo di sentimenti forti, di umanità genuina e valori ormai scomparsi, ma sempre affascinanti.
Quando è iniziata la sua passione per la letteratura?
In realtà devo ammettere che l’amore per la letteratura è un amore “mai sbocciato del tutto”. Vedevo il “libro” e il “romanzo” come costrizioni scolastiche, dovevo leggere per “compito” e mai per passione. Solo grazie all’università ho iniziato a leggere per passione e piano piano sono passato dai saggi storico-filosofico-politici ai romanzi e alla letteratura. MI sono appassionato a Kerouac e Conrad, alle loro descrizioni, al loro modo di narrare. Ma anche Tolkien è stata una magnifica scoperta ed è forse il mio autore preferito in assoluto. Ma ancora ne devo scoprire e sicuramente uno dei miei obiettivi è quello di “scovare” più autori possibili, in modo da migliorare la mia scrittura e anche per ampliare il mio bagaglio culturale.
C’è stato un momento in cui ha capito che sarebbe diventato uno scrittore? Quali sentimenti ha provato?
La prima volta è stata grazie alla tesi di laurea, che, poi, non ho mai discusso. Una volta terminata, alla fine della lettura mi sono detto “ma questa l’ho scritta io?”. Era come se prima di quella, non avessi mai pensato che sarei stato in grado di scrivere qualcosa. Non avevo mai scritto prima, la musica era la mia grande passione e sì, scrivevo, scrivevo musica. Ma tra le note e le parole c’è un bel salto. Così, quando ho avuto l’idea di scrivere il mio primo libro, avevo talmente voglia di vederlo pubblicato, di averlo tra le mani, che l’ho terminato in meno di due mesi. Credo sia una soddisfazione enorme: è come quando senti la tua canzone alla radio o vedi un tuo quadro esposto in una galleria d’arte. In quelle opere c’è una parte di te, tu sei lì e in qualche modo sei in quell’opera. Un po’ come avere il dono dell’ubiquità!
Qual è stato il suo percorso di vita?
È stato un percorso sicuramente tortuoso. Provengo da una famiglia umile e quindi ho sempre dovuto cercare lavoretti che potessero mantenermi, oltre a studiare per l’università. Credo che sia stata proprio quest’ultima la chiave di tutto. Ero iscritto alla facoltà di Scienze Politiche e Internazionali. Ho dovuto abbandonarla quasi al termine, per motivi economici, ma nel frattempo mi ero formato un bagaglio culturale importante ed avevo aperto gli occhi su tante materie. Soprattutto, l’esperienza dell’università, ha instillato dentro me la curiosità di approfondire, di andare oltre i testi accademici. È stato allora che hoiniziato a leggere, ad appassionarmi alla storia, alle tradizioni, alle culture. Da lì a volere, in qualche modo, mettere una mia impronta sulla storia locale, il passo è stato breve.
La storia fa da cornice ai suoi scritti, ci può parlare di questa passione?
È una passione che nasce non solo dai miei studi, ma anche dall’amore che ho per la mia terra. Io sono “Apuano” doc, anzi “apuo-lunense”. Ho scoperto il gusto soprattutto della storia “non scritta”. E non parlo solo di quelle tradizioni orali, o di tutto il comparto di leggende, di racconti più o meno veritieri, ma anche di quella parte di storia che non trova posto nei libri di storia e resta nascosta negli archivi, nei giornali locali dell’epoca. Fatti di cronaca che in qualche modo sono frutto delle condizioni passate e che magari erano condizionati proprio dalla storia stessa.
La scelta di trattare tematiche importanti da cosa deriva?
La mia passione per la storia, soprattutto locale, e per la mia terra, mi ha fatto sentire semplicemente il bisogno di raccontarla. Il romanzo storico è un artificio, un mezzo che permette di raccontare la storia senza narrarla, inserendola tra gli avvenimenti dei protagonisti inventati, facendoli trovare nel posto giusto al momento giusto. In questo modo si avvicinano le persone alla storia locale, senza dovergli impartire lezioni, semplicemente incuriosendole. Poi c’è un motivo ancor più strettamente personale: la volontà di lasciare una traccia. Scrivere un romanzo storico legato alla storia della propria terra significa, in qualche modo, legarsi alla storia locale. L’essere ricordato, un giorno, come un divulgatore della storia locale.
È una ragazzo molto coraggioso: cosa vorrebbe cambiare in questa società?
Tutto! No, scherzo. Vedo sicuramente una società che si evolve, sia nel bene, sia nel male. Vedo, finalmente, che le battaglie sui diritti civili stanno andando avanti, ma ancora molto dev’essere fatto. Ci sono diritti che ancora oggi vengono discussi e trovano porte chiuse, battaglie come quella sull’aborto che ancora trovano l’opposizione di parte della politica, di istituzioni, di medici, del clero. Vedo un generale impoverimento culturale, la scuola non funziona più come dovrebbe, i programmi vengono semplificati, leggo di presidi favorevoli all’abolizione della bocciatura. I giovani non leggono più, non si interessano più di storia, di politica. La politica, poi, è sempre più lontana dai cittadini e questo avvantaggia soltanto le elites. C’è un disagio giovanile, una decadenza, che non sembra avere freni, anzi. Baby gang, bullismo, abusi di sostanze: tutti sintomi di una società malata. E poi c’è una giustizia sociale che non funziona. E nel mio ultimo romanzo, una critica a questo sistema, c’è. Uno dei protagonisti si chiede “Che cos’è la giustizia? è forse più giusto far morire un uomo di fame, lasciare una famiglia nella miseria, che rubare per sfamare la propria famiglia?”. Ha più dignità un uomo che ruba nella miseria per sfamarsi, di chi ruba nell’opulenza per arricchirsi. Eppure il primo viene visto come un criminale, il secondo come un furbacchione. Bisogna rivedere completamente il concetto di giustizia sociale, e ridare dignità alle persone che soffrono. Il mondo ha appena affrontato una pandemia, e gli aiuti ai lavoratori sono arrivati col contagocce. Io non ho figli, ma mi sentirei un grande egoista ad averne, sapendo in quale mondo li sto lasciando. E non parlo di ambiente, perchè potrei continuare all’infinito. Meeting su meeting, manifestazioni in giro per il mondo, transizione ecologica, ma non vedo il cambiamento. Siamo in mezzo ad una crisi energetica e siamo tornati a parlare di carbone. Carbone! Quando abbiamo il sole, l’acqua, il vento…energie che già i nostri avi conoscevano e sfruttavano, energie gratuite ed illimitate. Ma non sono redditizie, non fanno guadagnare le grandi società, per cui, a parte qualche bonus, tutto tace. Ma bisogna lottare, e come dice Samvise Gamgee a Frodo Baggins ne Il Signore degli Anelli, “C’è del buono Padron Frodo in questo mondo. È giusto combattere per quello.”
Lei è ancora molto giovane, quali sono i suoi sogni?
Ma sì, a 35 anni mi sento ancora giovane! Ed è giusto continuare a sognare sempre. Il mio sogno più grande lo sto realizzando, ma per scaramanzia me lo tengo per me. Poi ne ho tanti altri, come il diventare un bravo scrittore e divulgatore, arrivare ad avere visibilità a livello nazionale. Ma soprattutto vivere bene e felice, godermi delle cose buone della vita, come un buon vino in compagnia. Sto già facendo cose che mi piacciono, ho una compagna che amo, un lavoro che mi diverte e che posso gestire in autonomia, una passione che riesco a portare avanti e una nuova casa che mi aspetta. Se poi un giorno mi vorranno come presidente della repubblica, sono pronto.
I suoi progetti futuri in che direzione vanno?
Mi verrebbe da dire “In direzione ostinata e contraria”. Mentre il mondo va in una direzione che è quella del capitale, del cemento, della guerra, io mi accontento di quel poco, che mi possa dare una tranquillità economica e magari un viaggio all’anno, tornare alla natura, alle verdure coltivate nel mio orto, alla pace e alla quiete. Voglio continuare a scrivere e a raccontare, respirando aria buona e passando il mio tempo con le persone che amo. Perché in fondo, come scrisse il navigatore ed esploratore lunigianese, Alessandro Malaspina, “non ho bisogno dell’effimero per godere della felicità”.