Lo chiamavano “lajhàr”, che in ungherese significa bradipo, perché non era veloce. Lentezza a parte, Geza Kertèsz, aveva il fisico perfetto per fare il calciatore, anche secondo i parametri di oggi e non solo per quelli degli anni venti, quando lui cominciò a farsi notare sui campi magiari. Un metro e novanta di altezza e un istinto calcistico puro, che gli permetteva una versatilità tale da escludere come ruolo solo quello del portiere. Geza Kertèsz, nacque a Budapest il 21 novembre del 1894. Condivideva il cognome con altri tre calciatori ungheresi che gli vennero attribuiti come fratelli, ma con cui non aveva alcun rapporto di parentela. A 17 anni militava già nel BTC Budapesti, nella serie A ungherese. Nel 1914 venne convocato nella nazionale magiara e fece la sua unica presenza nell’amichevole contro l’Austria. Nel 1920 passò al Ferencvàros e trovò come compagno di squadra Istvan Toth, con il quale instaurò una grande amicizia. Il “bradipo” Geza, tuttavia, giocò solo partite amichevoli e non venne mai impiegato né in campionato, né in coppa di Ungheria, vinta proprio dalla sua squadra. In Ungheria giocò fino al 1925 poi si trasferì in Italia per giocare e allenare lo Spezia Calcio che militava in seconda divisione e che, con lui, vinse il campionato. A Spezia è ricordato come il primo allenatore ufficiale della squadra locale ed anche come elemento fondamentale del trio d’attacco composto da Enrico Cappa e Gino Rossetti. Attaccati gli scarpini al chiodo, Kertèsz, l’annata successiva – 1926-1927 – arrivò come allenatore sulla panchina della Carrarese, prendendo il posto di Ernest Gusich che aveva guidato la squadra nel campionato di terza divisione portandola al secondo posto in classifica. Gli anni venti, nel calcio europeo, furono dominati dalla scuola calcistica ungherese. A Carrara il calcio era già una cosa seria, anche se la squadra locale era stata fondata da poco più di una decina d’anni e, come nei più grandi club, anche a Carrara era iniziata l’epoca degli ungheresi che durò all’incirca una ventina d’anni. La maglia giallo-azzurra venne indossata da campioni magiari come Ernest Gusich, Lajos Konyor e Ferry Lenghyel, e sulla panchina si alternarono Ferenc Molnar, Gusich, Kertesz, Imre Payer che guidò la squadra in sei stagioni, Jozsef Zilisy e, infine Pal Szalay che la allenò nella seconda parte del campionato ’47-’48. Quasi tutti i mister ungheresi, compreso Geza, arrivarono poi ad allenare anche in serie A.
A Carrara, Kertèsz restò per due stagioni, apprezzato per la sua preparazione tecnica, quella in cui tutti gli “ungheresi” brillavano, e anche per la sua naturale simpatia, un modo di fare sempre allegro e disposto allo scherzo e alla battuta. In campo, però, Geza era severo e voleva che i suoi giocatori dessero sempre il massimo. Il campionato di terza divisione 1925-’26 vide la Carrarese terminare al primo posto e, quindi accedere alle finali interregionali, vincendole e passando nella seconda divisione. Il copione si ripetè anche nel secondo anno di Kertèsz a Carrara con la squadra ancora prima in classifica che passò nella prima divisione. La serietà e la competenza di Kertèsz lo resero subito appetibile per società calcistiche più grandi e Geza, da Carrara, si trasferì a Viareggio, poi passò alla Salernitana, alla Catanzarese, che portò in serie B, al Catania, che ugualmente fece salire in serie B e guidò per quattro stagioni, conquistando anche un terzo posto. Da Catania passò al Taranto ripetendo la conquista delle serie B. Nell’annata 1938-’39 venne ingaggiato dall’Atalanta e portò la squadra a sfiorare il passaggio in B. Infine, dal ’42 al ‘44 venne chiamato in serie A prima con la Lazio e poi con la Roma, quando, ormai infuriava la seconda guerra mondiale. La stella di Geza cominciò ad appannarsi e collezionò una serie di esoneri in squadre, in cui aveva già allenato con successo. La stagione 1943-’44 la terminò in Ungheria, dove era tornato, con la moglie e i due figli, per allenare l’Ujpest, una delle due squadre della capitale. E qui, il lungo, dinoccolato, divertente allenatore di calcio, l’inventore dei ritiri pre-partita per i calciatori e il sostenitore del “sistema”, forse il primo “modulo” della storia del calcio, si trasformò in un eroe. A Budapest divenne tenente colonnello dell’esercito magiaro e ritrovò l’amico Istvan Toth che, come lui, aveva allenato in Italia e, lì stava allenando il Ferencvàros, la storica rivale dell’Ujpest. Ma l’amicizia tra i due allenatori era sincera e soprattutto si fondava su alcuni valori condivisi che li videro schierarsi entrambi sullo stesso fronte. Insieme i due amici decisero di dare una mano agli ebrei e ai partigiani ungheresi a sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi. Molti di costoro erano amici coi quali erano cresciuti, proprio a Budapest e non accettavano l’idea di vederli perseguitati dai tedeschi. Kertèsz e Toth si misero in contatto con la resistenza ungherese e anche con gli americani e crearono una loro cellula operativa. Per un anno salvarono decine di ebrei, trovando loro nascondigli, nei monasteri, in casa di amici e conoscenti, nelle loro stesse case. Geza, che parlava perfettamente il tedesco, si procurò una divisa della Wehrmacht e elaborò un piano di fuga per gli ebrei del ghetto di Budapest, ormai assediata dall’Armata Rossa di Stalin, con i nazisti, consapevoli della resa vicina e quindi, determinati a infliggere quanto più dolore possibile. Aveva ancora indosso la divisa rubata ai tedeschi, Geza, il 6 novembre 1944, quando venne arrestato in casa sua dai nazisti. Qualcuno lo aveva denunciato per aver dato ospitalità a un anziano ebreo. La Gestapo si era precipitata in casa del grande mister e aveva scoperto un paio di scarpe da uomo che non erano sue. Era bastato per arrestarlo e condurlo nelle carceri del Palazzo Reale di Buda. Nella soffiata era stato indicato anche Toth come collaboratore di Geza e anche a lui toccò lo stesso destino. Insieme i due ex compagni di squadra passarono alcuni mesi prigionieri dei tedeschi, in condizioni estreme. La notizia dell’imminente entrata a Budapest dell’esercito russo fu all’origine della convulsa e spietata decisione di giustiziarli. Geza e Istvan, insieme a cinque compagni vennero fucilati nel cortile del Castello Reale verso il tramonto del 6 febbraio 1945. Il fischio definitivo sulla partita delle loro vite venne fischiato una settimana prima della liberazione della città in cui erano nati, cresciuti e diventati campioni di calcio. Il funerale di Geza Kertèsz venne celebrato ad aprile, di fronte a una folla di persone che lo indicò come “martire della patria” e volle che venisse seppellito nel cimitero degli eroi di Budapest.