A parte le oggettive difficoltà di lettura e di pronuncia, il nome scientifico del Trichocereus schickendantzii risulta ostico anche ai fini dell’immediata comprensione, non riconducendosi ad alcuna parola del linguaggio corrente. Per comprenderlo, infatti, è necessario esaminare l’etimologia: trichocereus è un termine composto dalla parola greca thrichos, che significa pelo e dal termine latino cereus che significa cero e che, nella classificazione delle cactacee indica le piante con stelo a colonna. Friederich Schickendantz, a cui risale la seconda parte del nome scientifico, fu uno scienziato argentino, poi naturalizzato tedesco, vissuto nell’’800, esperto di botanica, che classificò per primo la specie, individuandola proprio in Argentina, nei pressi di una cava d’oro e di rame nella quale lavorava come scienziato. Nonostante il suo nome poco famigliare, il Trichocereus schickendantzii è uno dei cactus più comuni e frequenti da incontrare anche nelle case. È una pianta dal portamento colonnare che forma degli arbusti. Ha costolature basse con areole lanose, senza spine vere e proprie. Può raggiungere un’altezza che va dai 15 ai 75 centimetri e un diametro per ogni stello che arriva fino a sei o sette centimetri. Di eccezionale bellezza sono le fioriture che compaiono da marzo a settembre: dalla cima di ogni colonna nascono fiori a forma di imbuto molto grandi, di colore bianco, a volte coi bordi rosati, che non emanano profumo e che restano aperti per tre giorni.
La pianta proviene, appunto, dai climi tropicali del sud America, ma è abituata a crescere in alta montagna per cui è in grado di sopportare anche temperature fino a dieci gradi sotto zero. Se collocata in un giardino è preferibile esporla al sole. L’annaffiatura deve essere costante solo in estate, solo quando il terriccio risulta asciutto. La pianta produce anche frutti che sono commestibili.
© Foto di Cristina Maioglio