Siamo legati al luogo dove siamo nati, quel filo sottile che non si spezza neppure se dovessimo essere esuli per una vita intera. Questa rubrica si propone di raccontare le esistenze dei toscani che hanno vissuto a Roma, arricchendo la città eterna del genio e del carattere dei toscani.
Giovanni Gronchi
Giovanni Gronchi nacque a Pontedera, in provincia di Pisa, il 10 settembre del 1887. Il secolo stava per tramontare, quello successivo sarebbe stato lo spartiacque tra un passato rurale e la meccanizzazione. Gronchi crebbe a Pontedera, frequentò il liceo classico e poi si laureò in lettere alla Normale di Pisa. Amava la filosofia e la insegnò nei licei di Massa Carrara, dovette fare i conti con la prosaicità della guerra, ma non voltò la faccia e si arruolò in fanteria, combattendo al fronte.
Finita la guerra, Giovanni Gronchi, che era molto cattolico, respirò l’aria di Roma e quella delle cose che stavano nascendo. Insieme a Luigi Sturzo, fondò il Partito Popolare. Venne eletto deputato, il toscano era ormai un cittadino della capitale. Il professore che amava la filosofia, iniziò a fare i conti con la politica, quella vera. Dovette farli anche con l’avvento al potere di Mussolini. Il Partito Popolare lo scelse come sottosegretario per il primo governo di Benito Mussolini, Giovanni Gronchi comprese che la politica necessitava di compromessi che il suo spirito libero non amava. Si dimise nel 1923 e dopo le leggi fasciste del 1926, si ritirò a vita privata.
Visse la tragedia di una nuova guerra, quella della perdita di sua moglie nel 1941. Ci fu l’incontro con Carla Bissatini, una donna alta ed elegante. Proprio grazie all’incontro con Carla, Gronchi ebbe la spinta per riprendere in mano la sua vita, quella di tornare ad aver voglia di combattere per un ideale, come un vero toscano.
Nel 1943, in pieno conflitto, fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana. Era nato il partito, di ispirazione cattolica, che si proponeva di essere antagonista di quel regime che stava distruggendo il paese. Il filosofo Gronchi aveva imparato ad essere pragmatico, c’era da indossare nuovamente l’elmetto e combattere. Finì un’altra guerra, si doveva ricostruire un paese e Gronchi sapeva rimboccarsi le maniche e lavorare.
Roma era ancora una città aperta, come aveva raccontato Rossellini e il Parlamento un cantiere. La democrazia aveva vinto sulla monarchia, Gronchi tornò ad essere un deputato, il professore di filosofia della prima guerra mondiale, il rappresentante della seconda, erano ormai ricordi lontani. Fu eletto Presidente della Camera e con quel ruolo criticò il patto atlantico, avvicinandosi al socialismo di Pietro Nenni, il toscano dolcemente irriverente e controcorrente, ebbe il sopravvento.
Quello che accadde nel 1955, fu qualcosa che rimase negli annali della politica italiana. Un altro toscano, Amintore Fanfani, era il tessitore per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e, in quanto Segretario della Democrazia Cristiana, candidò Merzagora. Il partito si ribellò e al secondo scrutinio parte dei voti convogliarono verso Giovanni Gronchi. L’epilogo fu quello di avere anche i voti delle sinistre e della destra monarchica, Gronchi divenne presidente, il figlio del contabile di Pontedera, era stato eletto Capo dello Stato.
Carla Bissatini era sempre al suo fianco, meglio senza tacchi come chiedeva suo marito. Ebbero due figli, Mario e Maria Cecilia, Carla si dimostrò una perfetta first lady, era una donna fuori dagli schemi e preferì l’appartamento in quella traversa della via Nomentana, al palazzo del Quirinale. Il settennato di Gronchi non fu semplice, ma lui da buon toscano seppe proteggersi dal fuoco nemico e soprattutto da quello amico. La sua equidistanza dai blocchi del dopoguerra, non fu ben vista dal suo partito. Il suo legame con Enrico Mattei fu molto criticato, si parlò di fondi neri, Gronchi tirò dritto senza esitazioni, ne aveva viste tante, figuriamoci se potesse essere scalfito da qualche illazione.
In occasione del suo viaggio in sud America nel 1961, accadde un fatto alquanto singolare. Le Poste italiane emisero un francobollo celebrativo del valore di 205 lire. Era di colore rosa e fu emesso il 3 aprile del 1961. Il disegnatore Renato Mura, sbagliò a tracciare i confini del Perù che si riferivano al periodo antecedente alla guerra con Ecuador. Il francobollo su ritirato il 6 aprile, tuttavia ne rimasero in circolazione esemplari già acquistati. Fu subito caccia al francobollo sbagliato che arrivò a quotazioni stellari, ancora oggi ha un valore di circa trentamila euro per gli appassionati di filatelia.
Nel 1962 si concluse il mandato e non fu riconfermato, era troppo tosco per la politica. Divenne senatore a vita e fece sentire la sua voce fuori dal coro fino alla sua morte che avvenne nell’ottobre del 1978. Fu in concomitanza dell’elezione di Papa Giovanni II, per questo passò in secondo piano. Sono certo che non se la sia presa più di tanto, avrà sdrammatizzato con una battuta pungente, come ogni toscano sa fare nei momenti più bui.