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Diari Toscani

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Vasco Venturelli: il partigiano che fece inginocchiare i tedeschi

DiVinicia Tesconi

Mar 29, 2022

Era di Carrara, Vasco Venturelli, e aveva solo 25 anni quando decise di unirsi alla brigata partigiana Luigi Parodi, che stava combattendo contro i tedeschi sui monti apuani. Era forte, coraggioso, determinato e certo di voler dare il suo contributo alla lotta della Resistenza per la libertà. Massa e Carrara, nell’estate del 1944 si ritrovarono sulla Linea Gotica, l’ultima, più feroce fascia di scontro tra l’esercito alleato che risaliva la penisola da sud e quello tedesco che, ostinatamente e crudelmente, si aggrappava alle ultime speranze di respingere una disfatta annunciata. Tutti i comuni della provincia apuana e della Garfagnana pagarono pesantemente l’essere diventati teatro di guerra e, soprattutto, l’aver ospitato le molte squadre partigiane costituite per respingere i tedeschi in attesa della liberazione da parte degli alleati. A capo dell’esercito tedesco c’era il feldmaresciallo Albert Kesserling, devoto fino alla morte a Hitler e irremovibile nella volontà di non arrendersi mai, che aveva appena temperato l’ordine convulso e scriteriato del fuhrer di uccidere 1000 italiani per ogni soldato tedesco morto per mano partigiana. Kesserling, per ragioni di ordine pratico più che per un’umanità che probabilmente gli era sconosciuta, ottenne il permesso di ridurre il numero delle vittime da esigere e firmò il bando con la tristemente celebre imposizione: dieci italiani per un tedesco morto. Gli alleati rispondevano ai comandi del generale inglese Harold Alexander, che, all’inasprirsi degli scontri tra tedeschi e partigiani, sulla Linea Gotica, con conseguenti atroci rappresaglie a danno della popolazione civile, ordinò al Comitato di liberazione nazionale di cessare le operazioni belliche e limitarsi solo alla raccolta di informazioni utili all’esercito alleato. La natura sostanzialmente anarchica degli apuani e la consapevolezza dell’importanza della loro resistenza contro i tedeschi, resero praticamente nullo l’ordine di Alexander, che, disapprovato anche dal suo stesso comando maggiore, venne sostituito dal generale americano Mark Clark, sostenitore della lotta partigiana.

Tra i partigiani che non diedero alcun ascolto all’invito di Alexander a deporre le armi, c’era anche Vasco Venturelli, che, alla fine di novembre del 1944 si trovava a difendere Forte Bastione insieme a un distaccamento della brigata Luigi Parodi, comandata da Francesco Tosi, chiamato Mario e da Giovanni Bernardi, noto come Ulisse. La formazione era composta da Azzolino Marselli che aveva un mitragliatore leggero, e da Giuseppe Volpi, Luciano Tonarelli e Vasco Venturelli. La Parodi era di stanza a Castelpoggio e il 28 novembre venne attaccata da una compagnia dell’Alpenjager, le truppe tedesche di montagna. Per evitare che i tedeschi accerchiassero tutta la brigata, i quattro partigiani avanzarono fino a Forte Bastione limitando l’avanzata dei nemici e permettendo ai compagni una ritirata sicura. La formazione si comportò brillantemente e fu piegata solo dall’esaurimento delle munizioni. Muoiono tutti, tranne Vasco Venturelli che, ferito, viene fatto prigioniero e portato nella scuola elementare di Castelpoggio insieme a 15 civili rastrellati. Non avrebbe avuto bisogno di mostrare ancora più coraggio, Vasco Venturelli, ma proprio da quel momento, fino alla sua morte, diede un tale esempio di dignità ed eroismo da costringere persino i tedeschi a rendergli omaggio. Nella scuola di Castelpoggio, venne interrogato, torturato e pestato a sangue. Da lui volevano i nomi dei comandanti dei partigiani e le loro posizioni: Vasco non aprì bocca. Esasperati, i tedeschi, non poterono che condannarlo all’immediata fucilazione e, nella speranza di dissuadere chiunque dal seguire quell’esempio di ostinata lealtà alla causa partigiana, lo portarono nella piazza del paese per ucciderlo di fronte a tutti gli abitanti raccolti lì dai soldati tedeschi, anche loro con la triste prospettiva di essere giustiziati. Vasco era coperto di sangue e fiaccato dalla ferita e dai colpi ricevuti. Parlava bene il tedesco per cui capì perfettamente quale sarebbe stato il suo destino e, allora, con uno sforzo incredibile si rialzò e, camminando sulle sue gambe, si diresse al luogo dell’esecuzione. Gli venne offerta una benda da mettere sugli occhi, ma lui la rifiutò e puntò lo sguardo diretto e pieno di disprezzo sui suoi assassini e solo allora, finalmente parlò: “Viva l’Italia”, disse un secondo prima di essere raggiunto dalla fucilata che lo uccise. Il soldato tedesco che aveva appena dato l’ordine di sparare non poté fare a meno di avvicinarsi al corpo di Vasco Venturelli e di rimanere qualche minuto col capo abbassato, la mano sul cappello. Subito dopo, diede un nuovo ordine, insolito, in quella guerra di belve: richiamò il plotone e impose il Presentat-arm. Onore delle armi per un partigiano giustiziato. E poi, per rispetto all’eroismo di Venturelli e per fare in modo che quella storia potesse essere raccontata, ordinò di liberare tutti i prigionieri.

© Foto Archivio Michelino

Fonte: discorso di Giorgio Mori (presidente ANPI Massa-Carrara) in occasione della cerimonia commemorativa del 64° anniversario dell’eccidio di Castelpoggio (domenica 24 agosto 2008).