di Edoardo Mariotti classe 1 B liceo classico Emanuele Repetti di Carrara
Il Covid ha sicuramente sconvolto le nostre vite, dai rapporti sociali alla scuola. Quando qualcuno diceva che in Cina stava circolando un virus, allora sconosciuto, nessuno di noi avrebbe mai pensato a più di sei milioni di morti. Tutti andavamo a scuola tranquilli, vedevamo parenti e amici. Pure gli insegnanti erano convinti che dopo qualche mese un vaccino avrebbe risolto tutto, senza nemmeno che il virus arrivasse nel nostro Paese. L’illusione è durata per un mese, dopodiché ci siamo ricreduti.
Il 5 marzo 2020 eravamo tutti contenti di essere a casa, finché non abbiamo capito che non era una vacanza, bensì una problematica mondiale: i contagi cominciavamo a emergere e non c’erano cure adeguate. E la pacchia è subito finita: il giorno dopo, sul registro elettronico, sono cominciati a spuntare i primi compiti, dopo due giorni eravamo tutti chiusi in casa e passata una settimana eravamo già su Google meet. Poi è arrivata l’estate e tutto sembrava essersi abbastanza placato. A settembre pareva che la scuola sarebbe ricominciata, anche se con delle misure da sala operatoria. Tutto fumo e niente arrosto: a metà ottobre le classi erano piene di casi e la didattica a distanza tornava. Da qui in poi, sono arrivate le montagne russe: zone rosse, tutti a casa; zone arancioni, tutti a scuola; caso positivo, tutti in quarantena.
L’anno è finito, come, non lo so. L’unica cosa che ho potuto dire è stato “Evviva!”, perché è stato veramente pesante e infinito. La seconda estate in pandemia, eravamo vaccinati e più tranquilli, forse. La scuola superiore è iniziata con una prospettiva diversa: tenerla sempre aperta. E in effetti così è stato. Adesso però sembra che torniamo indietro. La didattica a distanza mai comparsa in cinque mesi, ora ci tormenta da un mese. Torniamo ad avere la paura che vederci di persona possa causarci qualcosa, che un semplice saluto potesse contagiarci. A me il Covid ha lasciato molti dubbi e soprattutto paure. Su ogni cosa che faccio penso sempre a difendermi. All’esterno, nonostante potrei togliere la mascherina, la tengo sempre e una volta arrivato a casa mi lavo subito le mani, e la stessa faccio se tocco qualsiasi cosa che non provenga direttamente da casa mia. Ormai, questi, sono atti quotidiani, che non vedo più come nuovi. La mia vita, e penso quella di tutti, è dominata da piattaforme per incontri e servizi online. Tutto per muoverci di meno ed essere più liberi nel fare le cose. Dobbiamo riabituarci a fare le cose di persona, anche se comporta un impegno in più.
La cosa che temo di più non è prendere il Covid – che so che non mi farebbe grandi cose-, ma il dover stare a casa finché non sei negativo, con la didattica a distanza, con la trepidante attesa della chiamata.
Della DAD ho sia belli che brutti ricordi. Quando la si fa tutti, gli alunni vengono trattati alla stessa maniera; quando è limitata al singolo o a qualche individuo, prima vengono quelli a scuola dopo quelli che sono a casa, e questi, molte volte, sono visti come una scocciatura perché si deve fare il collegamento. Un altro aspetto negativo sono i problemi legati alla linea, al microfono e alla videocamera, che molte volte non funzionano. È stato comunque un passo innovativo per la scuola, che si è finalmente abituata anche a un’altra realtà di insegnamento. L’unica cosa che posso dire, a due anni dall’inizio della pandemia, è “Che tutto possa finire”. Le vaccinazioni sembrano funzionare, quindi si dovrebbe cominciare a vedere la luce in fondo al tunnel.
Il mio pensiero va, sicuramente, agli arcobaleni appesi fuori dalle finestre, quando si pensava che tutto sarebbe finito in breve tempo, ma invece siamo ancora qua, tutti con la mascherina e il disinfettante. Piano piano bisognerà provare a conviverci, abbassando, mano a mano, le misure di precauzione. Sicuramente anche sulla scuola si sono fatti passi avanti: da andare tutti in quarantena con un solo caso positivo, adesso vanno in DAD solo i non vaccinati.