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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La divina commedia ‘n cararin

DiMichela Viti

Mar 27, 2022

Ho raccontato diverse volte come era venuta l’idea a mio padre di “tradurre” la Divina Commedia di Dante ‘n cararin. Un’impresa che realizzò: non tutta, ovviamente, e che, comunque gli richiese un impegno di diversi anni. Capitò che il professor Tenerani, il mio insegnante di italiano a Ragioneria, ci punì e ordinò che facessimo da soli un canto della Divina Commedia, senza alcuna spiegazione. Non ricordo quale canto, ma ricordo che era sicuramente uno dell’Inferno perché eravamo in terza, e comunque, faceva poca differenza dal momento che sono tutti difficilissimi, senza ombra di dubbio. Così tornata a casa da scuola mi misi a cercare di capirci qualcosa. Zero, ovvio. E l’urlo scorse spontaneo: “Papà cos ì diz lù chì?” (papà cosa dice questo?)- Povero Dante !- E lui, mio padre, si mise pazientemente a spiegarmi. Fortunata di sicuro, perché non so in quanti sarebbero stati in grado di farlo. Ma lui era speciale. La mattina dopo trovai sul tavolo del soggiorno stile svedese – usavano all’epoca – un foglio con scritte alcune frasi che “traducevano” la Divina Commedia ‘n cararin. Non me la vidi mezza e acchiappai il prezioso foglio. Il caso volle che il professor Tenerani si beccò una bella influenza e fosse assente proprio quel giorno. La supplente era la giovane professoressa Giromella, simpaticissima, che, tuttavia, non consideravamo per niente. Negli ultimi banchi mi misi a leggere la “traduzion” (traduzione), e fu subito uno sganasciarci dalle risate. La prof ci chiese cosa ci fosse da ridere. La risposta dei miei compagni fu: “La Viti ci ha portato un toco de la Divina in cararino” (un pezzo della divina Commedia in carrarino) e la lezione si svolse su quello. Mio padre ci mise anni per completarla.

Di quell’opera, per me, un capolavoro assoluto è il passo in cui il Cap top (Capo topo) accetta il baratto con le delibere del comune con lo scritto d’ ‘N’drè Saeta, nat cafazef e mort ‘d’ fama (Andrea Saetta, nato al Caffaggioe morto di fame). Un brano surreale e fantastico. Nei vari gironi, Carlo Viti, ci aveva infilato personaggi di una Carrara che non c’è più, tipo Tuvanin dal bumbardin, Omero ‘l calzolar, (Tuvani dal bombardino, Omero il calzolaio) per non dire dei fantastici soprannomi tipici cararini. È un peccato non averne più copie e non perché era un’opera di mio padre, ma perchè a l’è un toc d’ Carara scomparsa (è un pezzo di Carrara scomparsa).