Nel mondo anglofono, ma anche in quello italiano, ormai malato cronico di abuso di anglismi, spesso, peraltro inutili, lui è uno spin doctor, termine mutuato dal mondo del tennis che indica, letteralmente, un esperto di colpi ad effetto, gli spins, appunto, che, traslato nel mondo della comunicazione, diventa l’esperto di strategie di immagine, finalizzate al conseguimento di consensi, per lo più politici ed elettorali, e di ogni altro genere. Davide Simone, abruzzese d’origine, ma trapiantato a Massa sin dall’infanzia, una laurea in storia contemporanea e in comunicazione multimediale, è uno spin doctor, cioè un consulente di comunicazione, tra i migliori, attivo in Italia e anche all’estero, attualmente impegnato, tra i vari incarichi, anche nella campagna elettorale per le prossime amministrative del comune di Carrara, ma definirlo solo uno spin doctor sarebbe molto riduttivo: Davide Simone è anche un giornalista, scrive per Quotidiano Apuano.net, giornale online di cui è stato tra i fondatori, è uno storico e uno storiografo, è il responsabile della comunicazione dell’associazione Apuana Italia-Israele di Massa Carrara e riveste lo stesso ruolo anche per il sito “Goccia a goccia. A scavar pietre e nutrire aquiloni”, un canale informativo sulla pandemia gestito da alcuni dei migliori medici ed esperti di virologia. Del suo lavoro, del suo impegno civile e delle sue analisi dell’attuale momento storico ne ha parlato con Diari Toscani.
Giornalista, storico, consulente di comunicazione, qual è il ruolo che la rappresenta di più?
Come giornalista sono iscritto all’albo della Toscana da molti anni. Nel 2007 ho fondato, insieme ad altri, il Quotidiano apuano.net, in pratica il primo giornale online generalista della provincia, perché fino ad allora c’erano solo alcune testate tematiche per lo più dedicate allo sport. È stata un’avventura da pionieri che va avanti ancora oggi e che ci vede da tempo, ormai, associati Il sito d’Italia, un network nazionale per il quale siamo Il sito di Massa Carrara. Come storico collaboro con diverse riviste specializzate tra le quali Mezzogiorno e Risorgimento e Il nuovo Monitore Napoletano, un vecchio progetto che riprendeva Il Monitore Napolitano, rivista che fu tra i protagonisti della rivoluzione napoletano della fine del ‘700, ma il mio ruolo principale è quello di consulente di comunicazione politica e non solo. Ho lavorato in Italia e anche in Svizzera, soprattutto seguendo le campagne elettorali dal livello nazionale, al regionale fino al comunale.
È possibile, per un consulente politico, lavorare con personaggi che professano idee molto distanti dalle sue?
Per me, assolutamente sì, anche perché non ci sono verità assolute. Chiaramente non prendo in considerazione gli estremisti, gli antisemiti o i pazzi furiosi. La vera professionalità è lavorare con tutti, tuttavia in Italia l’80 per cento dei consulenti sono presi in casa, cioè sono appartenenti ai vari partiti. Io, invece, sono un indipendente nel senso che lavoro per chiunque e non vengo da storie politiche di partiti.
Lei fa parte dell’associazione Apuana Italia-Israele: ha origini ebraiche?
In maniera un po’ remota. Per l’associazione, che ha ripreso il suo percorso interrotto per alcuni anni, mi occupo, insieme ad altri, della comunicazione. Italia- Israele è un’associazione nazionale, apolitica e apartitica, che ha una sede centrale, della quale noi siamo i rappresentanti sul territorio apuano. Il presidente è Giuseppe Grimaldi giornalista de Il Mattino. Adesso ci stiamo allargando anche alla Lunigiana, a Carrara e a Montignoso.
È riservata solo a persone di origine ebraica?
No, affatto. Gli iscritti di origine ebraica sono pochissimi. Al contrario ci sono persone della società civile: politici, giornalisti, intellettuali. Non abbiamo legami politici. Il nostro obiettivo è promuovere il legame tra il nostro paese e il territorio di Israele. Abbiamo fatto molte cose importanti. L’anno scorso, in occasione degli eventi legati alla giornata della Memoria, abbiamo portato a Massa Franco Perlasca, figlio di Giorgio, eroe civile della seconda guerra mondiale che salvò molti ebrei dalla deportazione. Abbiamo scoperto una targa che ricorda il ghetto ebraico di Massa e organizzato varie conferenze di storia, politica e geopolitica. Quest’anno stiamo preparando un gemellaggio con una città israeliana e una serie di eventi che, speriamo, possano tenersi in presenza.
L’importanza di valorizzare legame con Israele da cosa nasce?
A nostro avviso c’è ancora una grossa disinformazione su Israele e poi c’è un antisemitismo molto forte. Lo si è visto anche durante l’attuale pandemia o meglio sindemia, che è il termine che indica un fenomeno pandemico ed epidemico che tocca vari settori, sociale, economico, psicologico non solo quello sanitario. Gli ebrei sono stati accusati di complottismo, di aver diffuso il virus e di aver avuto, da sempre, i vaccini tenendoli nascosti al resto del mondo. La disinformazione fa vedere Israele come lo stato imperialista e cattivo che non vuole concedere la terra ai palestinesi, cioè agli arabi-musulmani, ma in realtà non è proprio così. Se si va oltre alla narrazione mainstream che è quella che ci raccontano, ci si rende conto che, come sempre, ci sono colpe da entrambe le parti.
Spesso accade un fenomeno contraddittorio: si mostra solidarietà agli ebrei in relazione allo sterminio da parte dei nazisti, ma poi si sostengono le ragioni dei palestinesi contro gli israeliani…
Questa cosa è iniziata negli anni ‘50 con Stalin che, inizialmente, fu uno dei principali fautori della nascita dello stato di Israele, ma quando Israele ha mostrato di rimanere nel campo occidentale, avviandosi a diventare una potenza democratica Stalin ha cambiato bandiera attuando una svolta filopalestinese che si è innestata nel terzomondismo comunista. E così in molti, oggi, difendono gli ebrei per la persecuzione subita da nazisti e fascisti, ma nella questione israelo-palestinese, vedono negli israeliani un popolo imperialista che vive in un paese avanzato, forte e importante per cui la lotta di classe viene trasferita nella causa palestinese. Anche qui c’è una forte disinformazione: alcune frange estreme palestinesi sono brave a farsi passare da vittime, facendosi colpire apposta per far vedere che gli ebrei sono i cattivi.
Perché non c’è pace per gli ebrei?
Nella vicenda palestinese sicuramente c’è l’oltranzismo delle frange più estreme di Israele e dall’altra parte ci sono organizzazioni come Hamas e Olp che non riconoscono lo stato di Israele. Poi c’è un vecchio pregiudizio di matrice cristiana trasversale ai cattolici, protestanti contro gli ebrei, che indica gli ebrei come gli autori dell’omicidio di Gesù. È un problema sociale, culturale ed economico che si è trascinato per secoli da cui sono derivati una serie di pregiudizi, spesso, basati su errati fondamenti: ad esempio, in passato gli ebrei vennero accusati di non essere contagiati da alcune malattie per una sorta di protezione superiore di cui godevano mentre, in realtà, si salvavano solo per la loro antica abitudine di lavarsi spesso le mani. Inoltre vennero, storicamente, confinati solo a certi mestieri legati al commercio e questo portò la propaganda antisemita ad associarli agli usurai e agli avidi affaristi. È una situazione praticamente incurabile: su internet c’è ancora un odio pazzesco verso Israele.
Tuttavia, la giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio è una ricorrenza internazionale…
Montanelli diceva che l’unico ebreo buono è l’ebreo morto, perché la questione palestinese considera i palestinesi come i proletari che lottano contro il ricco soverchiatore, cioè gli ebrei, ricordati positivamente solo come vittime del nazifascismo. La situazione si è sempre più esasperata. Era più facile quando ebrei erano meno. Da quando sono aumentati, alla fine del XIX secolo, i conflitti sono aumentati, ma va ricordato che quella era la terra degli ebrei, mentre i musulmani sono arrivati dopo e a seguito di invasioni. La giornata della Memoria è sentita molto un po’ dappertutto. Del resto celebra il ricordo di una mostruosità unica che si espresse con l’intenzione di estinguere in modo scientifico intere categorie tra cui gli ebrei, i testimoni di Geova, i rom, gli omosessuali. La celebrazione è sentita in Italia anche perché si inquadra nel ricordo della seconda guerra mondiale, ma è un sentimento che dura solo in quel giorno lì, anche se l’antisemitismo in Italia è assai meno forte che in altri paesi come Francia e Inghilterra. L’antisemitismo, però, temo sia una questione che non troverà mai soluzione come il maschilismo e l’omofobia.
Lei esprime molte sue considerazioni e riflessioni sui social con post pieni di contenuti di grande interesse. Da dove viene la scelta di una platea – quella dei social – che è tra le meno competenti e, forse, anche obiettiva?
Io ritengo che i social, di per sé, siano un’ invenzione straordinaria: consentono di informarti e danno voce a tutti. Purtroppo vanno saputi usare: è un po’ come l’invenzione dell’ automobile che è ottima, ma se guidi come un pazzo diventa potenzialmente una bomba. Molte persone, dietro a uno schermo, pensano che le regole del buon gusto e buona educazione non esistano e sfogano le loro frustrazioni, prendendo quel coraggio che nella vita reale non avrebbero mai. Lo schermo, per questi, diventa uno scudo e una spada. Sono convinti che su Facebook un’offesa e un insulto valgano meno. Tanti dietro pensano che sui social non ci siano leggi per cui insultano le persone, cose che non farebbero mai per strada. In realtà esiste il decalogo della comunicazione non ostile che dice di non dire su interne quello che non si direbbe per strada. Io cerco di attenermi sempre a questo. Per me, quindi, i social sono un mezzo stupendo ed efficacissimo che uso sia come hobby, sia come promozione del mio lavoro. Il problema è l’uso che se ne fa.
Nei suoi post, lei parla spesso della comunicazione durante il Covid. Qual è il suo giudizio?
La comunicazione è stata pessima fin da subito a tutti i livelli: istituzionale e mediatico. Si è passati da un atteggiamento sostanzialmente negazionistico in cui si diceva che era solo un’influenza all’esatto opposto, cioè a una drammatizzazione assoluta, terroristica e allarmistica. E la cosa imperdonabile è stata la criminalizzazione del cittadino: dai dai runner, ai passeggiatori solitari, chiunque non si adeguava veniva criminalizzato anche se non violava le regole. Questa criminalizzazione è continuata con le prime riaperture, quando c’erano persone che uscivano e che sui social si indignavano perché vedevano altra gente che usciva. Questa comunicazione ha creato una guerra tra bande, ha sfaldato la coesione sociale. La comunicazione di emergenza deve essere il più possibile inclusiva, non deve portare a eccessiva rilassatezza, ma nemmeno deve allarmare. La prima cosa da non fare è creare il panico.
E invece il panico è stato creato più volte…
Sì, a inizio 2020 sono stati assaltati i supermercati per effetto della comunicazione allarmistica e catastrofistica. E questa modalità continua tuttora, basti pensare all’allarmismo che viene fatto sulle condizioni dei bambini. È stato demonizzato il cittadino comune da una categoria privilegiata costituita da politici, istituzioni e buona parte dei giornalisti che sono andati dietro per ragioni editoriali, politiche o commerciali perché si sa che che a livello cerebrale le emozioni forti stimolano maggiore attenzione e quindi più lettori. C’è stato un clamoroso click baiting, cioè una incredibile produzione di titoli acchiappa click che, in realtà fuorviavano il lettore. Facendo parte del mondo dell’informazione per me è stato molto triste vedere come la stampa italiana si è comportata in questo frangente macchiandosi di gravi colpe.
Lei ha collaborato e collabora tuttora con siti e pagine Facebook che puntano a correggere le distorsioni della comunicazione scorretta sulla pandemia…
Sì ho curato, insieme ad altri, la comunicazione del sito e pagina Facebook, Pillole di Ottimismo, gestito, dal professor Guido Silvestri e dalla dottoressa Sara Gandini e adesso collabora con il sito Goccia a goccia, a scavar pietre e nutrire arcobaleni, creato dalla dottoressa Gandini che si occupa di divulgazione scientifica. Per me è un grande onore far parte di questo team di grandi professionisti.
Quanto danno ha creato la cattiva comunicazione nella pandemia?
La cattiva comunicazione ha creato disastri, ha aggiunto ansia all’ansia, panico al panico e sta ancora creando danni destinati a protrarsi sul medio e lungo termine a livello sociale e psicologico. Anche io pago questo stress, anche se ho strumenti per decodificare la disinformazione. Infatti ho smesso di guardare i telegiornali che sono strumenti dell’infodemia.
Cosa è l’infodemia?
È l’eccesso di informazione che porta a confondere e quindi, di fatto, a non aver informazioni. L’infodemia diminuisce la capacità di analisi specialmente se è terroristica e ansiogena come quella di oggi che è quella di cui non abbiamo bisogno. Nelle situazioni di emergenza si deve mantenere la calma, che non vuol dire sottovalutare il problema, come hanno fatto all’inizio, ma nemmeno significa spaventare il cittadino e poi colpevolizzarlo per le sue conseguenti paure. Se l’infodemia arriva dalla stampa è preoccupante, ma se arriva dalle istituzioni è peggio. Ho visto una guerra al cittadino che mi ha stupito, deluso e fatto male e che è ancora in corso. Secondo me si è violato il patto di fiducia con i cittadini e non so se sarà ricomposto.
C’è qualcuno che trae vantaggio da tutto ciò?
In ogni momento di crisi ci sono categorie che traggono vantaggio. Quello attuale non è un’eccezione ma se lo si afferma si viene accusati di complottismo. In realtà non c’è nulla di male nel guadagnare nei momenti di crisi. Il problema nasce quando chi trae benefici non interviene per risolvere il problema o rimanda la soluzione, ma per affermare questo, adesso non ci sono prove anche se è un’ipotesi che non si può escludere.
Nella comunicazione distorta ci sono anche i no vax e i no green pass?
Ovviamente. I no green pass sono stati equiparati ai no vax da una certa comunicazione, ma non è corretto. Di fatto c’è stata una limitazione dei diritti delle persone e una comunicazione volta ancora a spaventare e confondere: il vaccino è stato presentato come sterilizzante mentre in realtà ha solo la capacità di prevenire le forme gravi della malattia. La comunicazione confusionaria e violenta ha fatto sì che alcuni cittadini si siano spaventati scegliendo di non vaccinarsi e venendo così bollati come no vax, senza, di fatto, esserlo. In generale stiamo assistendo a una demonizzazione del pensiero dissenziente che non va bene: io sono stato insultato e chiamato no vax anche se da tutta la vita sono schierato a favore delle battaglie vaccinali.
© Foto per gentile concessione di Davide Simone