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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La grande ferita di Carrara: il bombardamento di via Groppini

DiVinicia Tesconi

Gen 19, 2022

Gli ultimi mesi del 1944 erano stati terribili: Carrara non aveva ceduto, non si era lasciata piegare dalla furia tedesca che voleva raderla al suolo, ma pagava un prezzo altissimo per la sua Resistenza. Le truppe germaniche avevano occupato la città e la martoriavano con stragi e rastrellamenti per rispondere agli attacchi delle formazioni partigiane nascoste sulle Apuane. La contraerea americana sorvolava tutti i quartieri dal mare fino ai monti, ogni giorno, e raramente rientrava senza aver sganciato bombe nel tentativo di spezzare l’ultima spietata resistenza dei tedeschi sul quarantaquattresimo parallelo.

Le sirene scattavano in continuazione e la gente, tenace, testarda anche se terrorizzata, doveva correre nei rifugi sperando di evitare le bombe. All’inizio di gennaio, nel 1945, i raid aerei americani avevano già colpito alcune zone cruciali del centro città: il ponte della ferrovia marmifera non esisteva più e neppure la stazione di San Martino; danni gravi anche per il deposito dell’Officina del gas e un numero sempre più alto di feriti e di morti. Non lo chiamavano ancora “fuoco amico”, e comunque per i carrarini, che rischiavano la vita per portare un pasto o delle munizioni ai partigiani sulle colline, nel fatto di essere continuamente vessati dalle bombe degli alleati non c’era nulla di amichevole. Per molti abitanti del centro, poi, c’era anche lo sconcerto derivato dal fatto che le postazioni militari tedesche non si trovassero affatto in città ma nelle zone della pianura costiera. Perché gli alleati colpivano la città che era piena solo di civili affamati e ridotti allo stremo? Le bombe non colpivano quasi mai il nemico e toglievano servizi essenziali come acqua e gas, lasciando i sopravvissuti senza un tetto.

Alle due e un quarto del pomeriggio del 18 gennaio 1945 in città suonò di nuovo l’allarme.

Non c’era modo di abituarsi a quel suono né di familiarizzare con la procedura senza essere preda dell’angoscia. La sirena diceva che i bombardieri stavano arrivando e che bisognava ripararsi in fretta, correre al rifugio antiaereo più vicino, ma nemmeno quei bunker rudimentali erano garanzia di salvezza. Era capitato già altre volte che le bombe centrassero proprio le buche sotterranee che raccoglievano la gente impaurita facendo delle carneficine: non si tirava il fiato quando si stava lì dentro e si ascoltava il rombo dei velivoli bassi nel cielo di sopra e le continue deflagrazioni degli ordigni. C’era chi non riusciva a fare in tempo a raggiungere il rifugio e doveva nascondersi come meglio poteva; c’era l’angosciante preoccupazione per parenti e amici di cui non si sapeva la posizione al momento dell’attacco e il terrore, alla fine, di non trovarne più traccia. Quel pomeriggio sul cielo di Carrara piombarono cinque aerei americani in picchiata dotati di bombe al fosforo. Colpirono piazza d’Armi, via Roma, via Canova e, soprattutto via Groppini.

Cesarina Tosi era una ragazza di Carrara, una dello stesso stampo di quelle donne che si erano opposte ai tedeschi che volevano lo sfollamento della città nel luglio dell’anno precedente. Una ragazza della Resistenza. Si era iscritta di nascosto ai gruppi di Difesa della Donna che svolgevano un’attività segreta in supporto ai partigiani che erano alla macchia sulle colline carraresi. Portava loro cibo e armi nascosti, a volte, in ceste di fiori che fingeva di portare al cimitero di Marcognano. Era coraggiosa e ribelle. Quando sentì le sirene era lontana dal centro di Carrara e come tutti cominciò a correre al rifugio. Il rumore ormai noto degli aerei faceva capire che era stato colpito proprio il cuore della città e lì Cesarina aveva molti suoi parenti.

La voce del disastro in via Groppini si diffuse rapidamente e lei corse disperata mentre ancora le bombe cadevano per andare a soccorrere i feriti, sperando, tra questi, di trovare anche i suoi familiari. Il fuoco verde del fosforo saliva da un lato della piazza D’Armi e diventava sempre più grande nella sovrastante scuola Saffi, colpita. Via Groppini era l’epicentro, tuttavia. Lì abitavano i suoi zii e Cesarina indomita si spinse sino al punto più colpito. Tra macerie, urla, corpi mutilati, confusione e fumo di polvere e di esplosione. Il cielo pieno di scintille luminose che segnavano il loro percorso con striature di fumo bianco, letale. Ad un certo punto inciampò in un ammasso gelatinoso come marmellata e con orrore vi riconobbe una anziana donna che abitava lì ed era solita filare la lana sul marciapiedi della via. Era l’effetto del fosforo: necrotizzare ossa e tessuti, ridurli in poltiglia: la bomba aveva triplicato la sua potenza distruttiva.

Qualche congiunto Cesarina lo ritrovò, qualcuno lo perse in quel rogo spaventoso che si portò via quasi 70 persone e ne ferì più di centoventi. Tra i soccorritori, sconvolti per lo spettacolo, c’era anche Carlo Andrei, scultore e fondatore del CLN di Carrara, partigiano attivo con i gruppi più gloriosi della zona, figura politica di riferimento per tutti gli antifascisti della città che diventerà di lì a breve il sindaco che guiderà Carrara nel primo difficilissimo anno dopo la guerra. Andrei raccolse il corpo della più piccola vittima del bombardamento, una bambina di due mesi, e, disperato corse verso il punto di soccorso più vicino per non voler credere neppure davanti all’evidenza che la guerra avesse falcidiato anche una così innocente vita.

Sotto le macerie morirono 62 persone tra le quali, una decina di bambini dai due mesi ai dieci anni. Moltissimi i feriti. I morti vennero trasportati nella vicina chiesa del Carmine, che, da quel momento divenne una specie di obitorio per tutte le persone che morirono nei giorni seguenti tanto che per avere un quadro del bollettino di guerra, la gente di Carrara, passava da lì a far la conta dei morti.

© Foto Archivio Michelino