Non si sa con precisione in quale luogo o regione d’Italia sia nata la tradizione della Befana, ma di essa, si è incominciato a parlare nel 1200. Da allora, questa festa è diventata una delle più importanti e attese dai bambini. La figura della Befana aveva decisamente una marcata dualità, infatti, da un lato si presentava quale spauracchio per intimorire: Se ‘nt stà bón , la P’fana a t’ port zéndra e carbón” ( se non stai buono la Befana ti porterà cenere e carbone). Oppure: “Se ‘nt stà bón, a t’ fai portar via dala P’fana” ( se non stai buono ti faccio portar via dalla Befana). Dall’altro lato era una vecchietta che premiava la bontà dei bambini, portando loro in dono fichi e castagne secche, noci, arance, mandarini, e a volte, anche qualche gioco. La celebrazione dell’Epifania segnava e segna tutt’oggi, la fine delle festività, come recita il proverbio: “Pfana, Pfania tut le feste a s’ port via” (Epifania, Epifania tutte le feste ti porti via). Il termine Epifania, deriva dal greco e significa “manifestazione” riferita alla divinità. Nella tradizione cristiana indica la prima manifestazione della divinità di Gesù Cristo, avvenuta in presenza dei Re Magi. La sera della vigilia dell’Epifania, dopo la tradizionale zuppa di cavoli e fagioli, si preparavano i castagnacci con i testi di ferro, o le pattone con quelli di macigno. C’era anche chi, preparava il castagnaccio con uvetta, pinoli, e semi di finocchio selvatico, tutti quanti, da mangiare con la ricotta. Nelle case ferveva l’attesa per l’arrivo dei “Pfan” (befani) con il loro canto tipico. La tradizione voleva, che a vestirsi con i panni della Befana fossero esclusivamente gli uomini. Questi, vestivano vecchi calzoni, giacche un po’ sformate, cappellacci e grosse sciarpe. I capelli fatti rigorosamente con la stoppa, la faccia annerita con il carbone e, in mano, fiaschi vuoti, ovviamente da riempire durante i canti di questua, e sacchi, anch’essi da riportare a casa pieni.
La Befana, vestiva una gonna increspata, lunga fino alle caviglie. Camicetta, giacchetta, mantella di lana o scialle fatti all’uncinetto, i capelli bianchi di stoppa coperti da un grosso fazzoletto nero, ed infine un paio di occhiali. Anche la Befana, come i suoi befani, aveva la faccia annerita con il carbone. Un grosso grembiulone, scarponi e calzini di lana fatti a mano, completavano l’abbigliamento. Il gruppo dei Befani, accompagnati dalla fisarmonica, dalla chitarra, dal violino e dal bengio, si formava sia nel centro storico di Carrara, sia nei vari paesi a monte e al piano. Intonando il tipico canto a suon di musica, la compagnia si avviava, bussando alle porte, e chiamando per nome ogni singola famiglia. C’era chi regalava un fiasco di vino, chi anche più di uno, chi donava frutta, dolci, alcuni anche dei soldi. Mandare via i Befani a mani vuote era di pessimo auspicio, e quando ciò avveniva, specialmente se la famiglia in questione era abbiente, veniva cantato questo stornello: “Dop ala ca, a iè na pianta d’ limón, seca ‘l limón e seca ‘l soópadrón!” (Dietro la casa c’è una pianta di limone, secca il limone e secca il suo padrone!). Uno stornello, che mai nessuno avrebbe voluto sentirsi dedicare. Per i più piccoli, dopo la cena, l’attesa della Befana si faceva sempre più concitata. La mamma, li spingeva a recitare davanti al camino, la richiesta rituale: “Signora Befana mi sembra una dama, mi sembra una sposa, mi butta giù qualcosa?”. Ad un tratto, giù dalla cappa, incominciavano ad arrivare noci, mandarini, a volte anche qualche confetto o ficco secco. Al bussare dei Befani, i piccoli si andavano a nascondere dietro la sedia del nonno o del babbo, e nonostante il timore, rimanevano incantati ad ascoltare i versi e la musica:
La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
porta vento e tramontana
viene viene la Befana.
Siamo quattro scalpellini,
che veniamo dall’Oriente,
per sbozzar quattro scalini,
siamo quattro scalpellini.
Tocca a voi sóra padrona,
metter mano a quel fiaschetto,
di quel vin che voi sapete,
di quel vien che voi sapete.
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte,
viene giù dalla Brugiana
viva viva la Befana.
Ringraziamento dopo l’avvenuta questua:
Drét a la ca, a i è ‘na pianta d’ limón,
crésa ‘l limón e crésa ‘l só padrón. ( dietro la casa c’è una pianta di limoni. Cresca il limone, cresca il suo padrone)
Venivano cantati anche stornelli dialettali quali:
La P’fana al và ‘n cantina,
a s’ vèst a cuntadina,
a s’ mét ‘l frabalà,
la P’fana aḑ è tó ma
e ‘l micét i è tò pà. (la Befana va in cantina, si veste da contadina, si mette un farpalo, la Befana è tua mamma e il gattino è tuo padre)
Gli anziani, ricordano, che erano molto apprezzati i Befani sorgnanesi, per la loro virtuosità nel cantare e nel suonare. Tale dote, indusse gli abitanti di Casano ad invitarli per cantare i tipici canti della Befana. Vennero talmente apprezzati, che alla fine, tornarono a casa con un barroccio pieno di fiaschi di vino, cosa che, a quel tempo, non si era mai vista. Qualcuno ricorda che, anche il primo giorno dell’anno vedeva il gruppo dei musicisti e dei cantori impegnati porta a porta nei canti augurali. Il giorno dell’Epifania, i bambini trovavano piccole cose dentro le proprie calze di lana, bambole di stoffa confezionate dalla mamma, un cavalluccio di cartapesta, un fucile di latta, dei fichi secchi. A volte confetti, caramelle, pezzi di liquirizia, ma spesso, per mascherare la povertà, cipolle, agli, carbone, in modo da fare intendere ai bambini, che la Befana era arrabbiata con loro, per il cattivo comportamento. La vigilia dell’Epifania, vedeva, sembra ombra di dubbio, sulla tavola, i castagnacci preparati con i testi di ferro e recentemente anche il castagnaccio in teglia con uvetta, noci, pinoli e semi di finocchio, tipica erba delle tante vigne locali, della quale si essiccavano i semi. Il tutto, accompagnato da ricotta e stracchino. Oggi in tanti, hanno rinunciato all’uso tipicamente carrarino dei semi di finocchio, per adottare il rosmarino usato sia in Toscana, sia in Liguria.
La festività dell’Epifania si celebrava con le lasagne, tanto tradizionali da farne derivare un detto popolare: “P’r la P’fana la bianca lasagna, e chi an la magn’ tut d’an i s lagn” (Per la Befana la bianca lasagna, e chi non la mangia tutto l’anno si lagna). Da tempo immemorabile si usa questo detto: ho provato a dare una spiegazione della presenza della bianca lasagna come ricetta tipica del giorno dell’Epifania. Quando il Cristianesimo si andò affermando a livello politico- religioso, le credenze e i riti pagani antichi resistettero fortemente tra il popolo, tanto che la Chiesa, dovette convertire le date di queste ricorrenze, dedicandole come nel caso del Natale (solstizio d’inverno) alla nascita di Gesù. La stessa cosa fu fatta per l’Epifania che corrispondeva alla festa dedicata a Diana, che proprio in quella notte, sorvolava i campi e i frutteti, benedicendo i futuri raccolti, le erbe spontanee medicinali e quelle spontanee alimentari. Con grande disappunto della Chiesa, il culto di Diana, durò altre mille anni dopo il riconoscimento ufficiale del Cristianesimo. Le donne, alle quali, anticamente, era destinato il compito di accudire alla preparazione del cibo per tutta la famiglia, continuarono tranquillamente a preparare in quel giorno, ciò che da sempre, avevano preparato in onore della divinità, ossia le lasagne bianche. Bianca lasagna, perché si impastavano soltanto con acqua e farina, senza l’aggiunta di uova, secondo una ricetta nata verso il 1300. Abbiamo quindi una lasagna bianca, condita con ricotta e pecorino, prodotti della pastorizia, attività alla quale si dedicavano i nostri antichi progenitori.
Le lasagne preparate in onore di Diana, dovevano sollecitare energia, salute, e soprattutto fertilità. Il taglio romboidale di quelle lasagne, richiamava la forma dell’organo riproduttivo femminile, simbolo che ritroviamo spesso nelle incisioni rupestri. Non è un caso, se alle puerpere, dopo il parto, venivano preparate le lasagne, che si riteneva favorissero la montata del latte per il bambino. Bianche lasagne in segno di purezza e castità dell’offerente: solo così la dea sarebbe stata prodiga nell’elargire ciò che le era stato richiesto. Chi non faceva l’offerta votiva delle bianche lasagne e non le mangiava, non avrebbe ottenuto i favori di Diana, ed ecco la spiegazione del perché tutto l’anno si sarebbe lagnato. Questa millenaria tradizione non si è mai persa, giungendo fino ai nostri giorni, lasciandoci non solo il profumo e il gusto delle lasagne preparate nel giorno della Befana, ma anche il sapore e il fascino delle leggende e tradizioni antiche legate al nostro territorio.
© Foto di Vinicia Tesconi