La rubrica Per non dimenticare ha anche l’obbligo di rispolverare pezzi di storia del passato per attualizzarli e diffonderli, rendendo onore alla memoria di quei giovani che sacrificarono la loro vita per riscattare la libertà. La provincia di Massa Carrara annovera ben venti medaglie d’oro concesse al valor militare, appuntate sul petto di chi ha pianto i propri figli immolati sull’altare della patria. Prima e unica in Italia, la provincia di Massa Carrara, ha ottenuto la massima onorificenza della medaglia d’oro al valor militare per l’eroico comportamento della popolazione apuana che vinse la fame col leggendario sacrificio delle sue donne e dei suoi ragazzi sanguinanti sugli impervi sentieri. Oggi voglio ricordare Giuseppe Casini, detto Pino, una delle figure più luminose della Lotta di Liberazione.
Morì colpito alla gola dai colpi della mitragliatrice sparati da un sodato delle “brigate nere” di Sarzana, guidate dal tenente Zanelli ai Pilastri, vicino a Fivizzano. Era il 3 gennaio del 1945: Giuseppe Casini, conosciuto col nome di battaglia Pino aveva solo 25 anni.
“Organizzatore di unità partigiane, partecipò col suo reparto a numerose azioni di guerriglia e ad arditi atti di sabotaggio che gravi danni arrecarono al nemico. Valoroso tra i valorosi seppe trasfondere nei suoi uomini il proprio ardimento e mai arretrò innanzi al pericolo. Sorpreso da un reparto nazifascista mentre alla testa di una pattuglia tornava da una audace azione, accettava combattimento e lo sosteneva con leonino ardore fino all’ultima cartuccia, per dare modo ai compagni di sfuggire alla cattura. Gravemente colpito alla gola mentre sempre impugnando la sua arma automatica cercava di ritirarsi per ultimo, veniva raggiunto dall’avversario che lo finiva a bruciapelo ed esalava l’ultimo anelito dopo aver avuta la forza, nei rantoli dell’agonia, di confermare in faccia al rabbioso nemico la sua fede nella, redenzione della Patria. Luminoso esempio di ardimento e di cameratismo“. Questa la motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa alla memoria.
Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, Giuseppe Casini si trovava in Francia, come sergente della guardia alla frontiera . Svestita la divisa di soldato si sottrasse a tutte le chiamate della repubblica fascista. Lasciata Mentone, Casini raggiunse le montagne della Garfagnana, dove gli fu subito affidato il comando di una piccola formazione partigiana. Ben presto Pino Casini, per il coraggio dimostrato in numerose azioni contro i nazifascisti, divenne comandante di una brigata della divisione “Lunense”. Era capace di trascinare i compagni ai suoi comandi con l’ardore del combattimento e considerava il suo Sten, un mitra a canna corta, l’arma da custodire gelosamente per colpire il bersaglio del nemico. Compì numerose azioni nel 1944, riuscendo a salvare tutti i suoi uomini, tutte le armi e altro materiale di battaglia. Di fronte alla grande incognita dell’inverno nei boschi, Pino Casini fu tra i pochi a riconfermare incrollabile la sua fede nella causa partigiana. Stanco e con un fisico provato di rigori dell’inverno e dallo scarso nutrimento, e anche con problemi di salute, trovò la forza di reagire senza mai arrendersi, riprendendo la sua attività di azione. In quelle zone impervie, la figura di Pino Casini comparve come un miracolo di onnipresenza. Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1945 scese, nuovamente, nella piana di Luni, dove infuriava il terrore delle brigate nere. Pino era cosciente della sorte a cui andava incontro: “Potranno prendermi morto, ma vivo mai. Sparerò finché ci sarà un filo di vita”, affermava con ardimento. E lo fece fino a quel gelido mattino del 3 gennaio. Prima di morire, con fierezza, ancora una volta chiamò “vigliacchi” i suoi nemici.
Per ricordare Pino Casini, nel 1946, i superstiti della “Lunense” eressero, sulla strada statale 446 , presso la località dei Pilastri, nel comune di Fosdinovo, un cippo con la sua effigie.
50 anni dopo, il comune di Fosdinovo vi ha aggiunto una lapide in ricordo dell’eroe della Resistenza.
Il testo è stato ricostruito attingendo alle fonti “Le Medaglie d’oro della Resistenza apuana” di Emidio Mosti e al progetto “Donne e uomini della resistenza” dell’Anpi.