“La memoria è radice di una comunità. Fare memoria è condizione affinché la libertà conquistata continui a essere trasmessa e vissuta come un bene indivisibile. Non dimenticheremo mai le vittime innocenti, i servitori dello Stato, le persone libere che non hanno rinunciato ai loro valori pur sapendo di mettere a rischio la propria vita”. Sono le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La memoria è un dovere civico che deve essere sviluppato per conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni.
Viviamo un momento storico nel quale è indispensabile difendere con fermezza e coerenza i valori dell’antifascismo.Da 15 anni porto avanti nelle scuole il premio intitolato al maresciallo Ciro Siciliano. Si tratta di un premio che ha coinvolto, ad oggi, circa due mila giovani. Non tutti i semi gettati saranno attecchiti ma tanti, ne sono certa,hanno messo radici e questa è la mia gratificazione più grande. Continuo, anche attraverso questa rubrica, a portare il ricordo di pezzi di storia, pezzi di memoria,raccogliendo ancora testimonianze e diffondendo documenti pervalorizzare e far conoscere le esperienze di chi ha vissuto la guerra di liberazione.
Oggi dedico la rubrica “Per non dimenticare” a un giovane valoroso, medaglia d’oro alla memoria: Andrea Marchini, ucciso dai tedeschi il 15 dicembre 1944, al Passo del Pitone, sul Monte Carchio che divide la provincia di Massa-Carrara da quella di Lucca. Marchini aveva appena 22 anni quando morì sulla linea gotica che passava in terra apuana. Era un ex carabiniere e un caposquadra partigiano. La motivazione della medaglia d’oro alla memoria recita: “Carabiniere audace e valoroso, acclamato caposquadra dei suoi partigiani che lo vollero come comandante, di ritorno in pattuglia da un’ardita missione compiuta da un reparto tedesco. Benché in condizioni di inferiorità numerica e benché ogni libertà di movimento fosse intralciata da un campo minato, accettava l’impari lotta e con indomito valore sosteneva l’urto nemico. Mutilato a un piede, asportato dallo scoppio di una mina, vincendo lo strazio della carne ridotta a brandelli, con intenso fuoco del suo mitragliatore fronteggiava per due ore l’avversario incitando con l’esempio e con la parola i suoi uomini a resistere fino all’estremo per non abbandonare i compagni feriti. Colpito a morte cadeva da eroe con la fronte rivolta al nemico, confermando e perpetuando con l’offerta della sua vita le nobili tradizioni dell’arma dei carabinieri che ha per credo abnegazione, dovere e sacrificio”.
Andrea Marchini, come la maggior parte degli appartenenti all’arma dei carabinieri, non ebbe esitazioni e scelse la dura e rischiosa vita del partigiano, continuamente in lotta contro un nemico molto superiore per numero e armamenti. È stato un simbolo ed anche una guida morale per le generazioni successive.
Aveva passato le linee, con il suo reparto, il 2 dicembre 1944, in occasione del più grande rastrellamento verificatosi durante l’ultimo anno di guerra. Si trovava a Firenze nell’Italia libera ma, con il suo comandante “Vinci” Nicodemi e pochi altri, decise di tornare al di qua della linea gotica per combattere ancora e per morire dedicando il martirio della propria carne straziata, alla salvezza e alla libertà della patria.
Nel mese di dicembre, a Firenze, il carabiniere fu incaricato di infiltrarsi nelle linee nemiche, per svolgervi un’importante missione al comando di una squadra di partigiani. Il gruppo era sulla strada del ritorno, sul Passo del Pitone, quando fu intercettato da un reparto tedesco. Andrea Marchini e i suoi uomini s’impegnarono in un conflitto a fuoco che andò avanti due ore.
Questo è un piccolo contributo per fare memoria, un’altra pagina di storia da condividere e tramandare, ricordando un giovane eroe caduto nella storia.
Fonti
“Le medaglie d’oro della Resistenza Apuana” di Emidio Mosti