Di lui, nella memoria popolare dei suoi concittadini carraresi, è rimasto impresso soprattutto la lunghezza dei piedi. Neppure i suoi, peraltro, ma quelli della statua che l’amministrazione carrarese gli dedicò subito dopo la sua morte avvenuta metà dell’800. Per oltre 100 anni chiunque avesse i piedi lunghi, a Carrara, veniva paragonato a Pellegrino Rossi – la statua -, che, oggettivamente, mostrava calzature un po’ sovradimensionate. E i carraresi sono sempre stati acidi: non c’è poesia, non c’è impegno sociale, né nobiltà d’animo che freni la loro feroce ironia. “T’ha i pè d’Pelegrino Rossi” (Hai i piedi di Pellegrino Rossi) a Carrara, l’hanno sentito dire tutti, almeno fino alla fine del ‘900. Anche dopo che quei piedoni, che stavano quasi facendo ombra alla luminosa e importante carriera giuridico-politica del suo modello originario, furono polverizzati da un attentato dinamitardo che prese di mira la statua dello statista carrarese nel 1978. Era il secondo attentato che riguardava Pellegrino Rossi: il primo, nel 1848, gli era costato la vita. Il secondo, invece, gli costò il monumento.
Pellegrino Rossi nacque il 13 luglio 1787 a Miseglia, che faceva parte del ducato di Massa e Carrara sotto il governo dei Cybo Malaspina. Ebbe la possibilità di studiare legge, prima a Pisa, poi a Bologna, fino a diventare, nel 1812, un docente di diritto. Tre anni dopo, il giovane Pellegrino Rossi non esitò a seguire Giocchino Murat in una spedizione in Puglia e in Calabria contro il dominio degli austriaci e quando Murat cadde, fu costretto a fuggire in Francia e da lì in Svizzera dove cominciò a insegnare diritto romano nell’università di Ginevra, incarico che gli valse l’ottenimento della cittadinanza svizzera. La politica attiva, però, continuava ad esercitare un forte richiamo su Pellegrino Rossi, che, nel 1820, venne eletto deputato del Cantone e, nel 1832, membro della Dieta con l’incarico di scrivere un prospetto della costituzione svizzera –chiamato Patto Rossi – in cui venivano modificati i rapporti tra i cantoni e il governo centrale. Il testo di Rossi venne respinto dai rappresentanti del governo svizzero e la delusione per tale rifiuto lo spinse a lasciare la Svizzera e a stabilirsi in Francia, dove, si rimise ad insegnare, questa volta economia politica, nel Collegio di Francia. Nel 1834 cambiò di nuovo nazionalità diventando francese e passò ad insegnare diritto costituzionale alla Sorbona di Parigi. Negli anni successivi, sempre in Francia, entrò a far parte dell’Accademia delle scienze politiche e morali e poi venne nominato conte e pari di Francia.
Col passaporto francese giunse a Roma nel 1845 in qualità di ambasciatore di re Luigi Filippo nella Santa Sede. Nel frattempo in Francia era scoppiata la rivoluzione del ’48, Luigi Filippo era stato detronizzato ed era stata proclamata la Repubblica, per cui l’incarico di ambasciatore di Pellegrino Rossi decadde. Rossi decise di non muoversi più dall’Italia e ottenne la cittadinanza dello Stato Pontificio, di cui, in brevissimo tempo divenne ministro di polizia e finanze. La nomina gli venne da papa Pio IX che, in quello stesso periodo, era succeduto a papa Gregorio XVI. La sua opera come ministro fu notevole: riorganizzò l’esercito e cercò di istituire una lega doganale tra gli stati italiani elaborata insieme al pontefice. Il sogno politico di Pellegrino Rossi era una federazione di stati italiani, simile a quella esistente in Svizzera, nella quale ogni stato rimaneva autonomo e beneficiava solo dei vantaggi economici derivanti dall’unione federale con gli altri. L’idea del federalismo di Rossi, però, non piaceva affatto ai Carbonari che si stavano muovendo per unificare totalmente il paese e, con ogni probabilità fu all’origine della decisione di eliminarlo. Lo attesero sulle scale del Palazzo della Cancelleria il 15 novembre 1848 e lo accoltellarono a morte. Poco dopo l’assassinio di Rossi venne proclamata la Repubblica Romana e il papa fu costretto a fuggire da Roma. Il processo contro gli imputati dell’omicidio di Pellegrino Rossi si concluse solo con il ripristino dello Stato Pontificio e portò a due condanne a morte e a sei condanne a diversi anni di carcere. Le spoglie di Rossi rimasero a Roma, in San Lorenzo in Damaso, il luogo in cui era stato ucciso.
A Carrara, Rossi non era più tornato, ma la sua città aveva mantenuto alto l’orgoglio per la sua brillante carriera e per la sua tragica morte e nel 1876 decise di dedicare allo statista un grande monumento in marmo da collocare in piazza D’armi. Il monumento, realizzato dallo scultore Scipione Jardella nel laboratorio di Ferdinando Pelliccia, venne collocato al centro di un’aiuola nella parte superiore della piazza, con una cerimonia in grande stile a cui partecipò tutta la cittadinanza.
Nel ‘900, alla figura di Pellegrino Rossi, aveva dedicato ricerche e studi, Giulio Andreotti, segretario della Democrazia Cristiana, primo partito italiano sin dalla nascita della Repubblica, che aveva scritto un libro proprio sull’attentato in cui il carrarese aveva perso la vita dal titolo “15 novembre 1848 : ore 13 il Ministro deve morire”. Nel 1978 cadeva il 130° anniversario della morte di Pellegrino Rossi. Si era nel pieno degli anni di piombo, a pochi mesi dal rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Carrara era guidata dal sindaco Roberto Puccinelli, capo della coalizione Pci- Psi. Il presidente dell’Ente cultura e sport, Beniamino Gemingnani, invitò personalmente Andreotti a partecipare alle celebrazioni in onore di Pellegrino Rossi che si sarebbero tenute in Accademia e il presidente del consiglio accettò. Poco dopo la mezzanotte del 6 dicembre, a pochi giorni dall’arrivo di Andreotti, il centro di Carrara fu svegliato da un enorme boato proveniente dalla parte alta di piazza D’armi. Le case che si affacciavano sulla piazza avevano tutte i vetri in frantumi. La gente che accorse fuori vide subito che la statua di Pellegrino Rossi era ridotta in mille pezzi. Frammenti erano volati a cento metri di distanza: era stato un vero miracolo che l’esplosione non avesse causato vittime. Il mattino dopo una processione di cittadini si recò a vedere ciò che restava della statua di Rossi. Qualcuno raccolse anche dei pezzi di marmo e se li portò via e dopo alcuni giorni il sindaco fu costretto a diramare un appello affinché venissero restituiti tutti , in previsione di un difficile e elaborato restauro, che fu ultimato qualche anno dopo. Pellegrino tornò al suo posto, a dominare la piazza più grande della città, a raccogliere le scalate dei bambini delle due scuole che insistono sulla piazza, a ricevere, troppo spesso, gli sfregi sconsiderati delle nuove generazioni di cittadini che non sanno nulla di lui, né del perché venne ucciso, né tanto meno della ragione per cui, oltre un secolo dopo, si decise di uccidere anche la sua statua. E neppure sanno cosa significa “T’ha i pè d’ Pelegrino Rossi”.
© Foto Archivio Michelino