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Diari Toscani

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Cronache dal Bugliolo: la “presa” della Fossa dei Leoni

DiMichela Viti

Nov 7, 2021

Verso la fine degli anni ’80, un gruppo di “facinorosi” (impiegati di banca, marmisti, operai, ecc.) si presentò in mutande, così mi dissero – in realtà erano in calzoncini da calciatore – a una seduta del consiglio comunale di Carrara. Il loro obiettivo era chiedere la gestione del campo da calcio della Fossa dei Leoni in nome della Uisp, che all’epoca era l’acronimo di Unione Italiana Sport Popolare (mentre oggi la P sta per sport “per tutti”) il glorioso campo su cui la Carrarese, dopo la guerra, aveva iniziato la sua storia e disputato due stagioni in serie B.

Dalla fine degli anni ’50 la Fossa dei Leoni era stata soppiantata dal nuovo Stadio dei marmi, oggi ribattezzato Dei 4 olimpionici. Il loro obiettivo era semplice: “cavar da ‘n mez a la via i fanti e i omi dai bar” (togliere i ragazzi dalla strada e gli uomini dai bar). Nessuno di loro avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto nei successivi dieci anni. Uno dei “facinorosi” era Marco Bruschi, che mi convinse, assieme all’inseparabile Enrico Bichi, ad andare a lavorare alla Uisp, la cui sede era nel complesso del Teatro degli Animosi, nel piccolissimo ufficio adiacente alle scale che portano al ridotto del teatro. In poco tempo le squadre dei ragazzini che si iscrissero ai campionati della Lega Calcio Uisp, tra Carrara e Massa, furono tantissime: la Perticata di Gigè e Mauron, la Juventina di Traversi, l’Oratorio don Bosco, il Bonascola, il Ricortola, Il Castagnola e tanti altre.

La stagione di partenza per il campionato dei “bimbi” fu quella per i nati nel 1978, così io feci la prima tessera a Gigi Buffon. Anche il campionato “Amatori” ebbe un grande ed immediato successo. Si arrivò, negli anni, a formare ben tre gironi e a fare persino una selezione per partecipare ai “nazionali”, con tanto di allenatore vestito come un figurino: Bellè del Partaccia, che pareva proprio Marcello Lippi. Le squadre avevano prevalentemente i nomi degli sponsor: Carrozzeria Jolly, Pozzo di San Patrizio del mitico Patrì Arata, Officina Luciani – Polstato, e altri. Un capitolo a parte meritano gli arbitri, capitanati dal designatore Corbo, uomo severo, ma davvero “giusto”.

C’erano dei personaggi speciali: tra loro mi piace ricordare Salvadori, Pegollo e Giò Brizzi, il più particolare di tutti. Ad un campionato capitò di iscrivere, gratuitamente, una squadra di ragazzi stranieri, i Leoni di Casablanca, e io notai che, quando li arbitrava lui, avevano una sfilza di cartellini gialli, incredibile. Assieme al segretario della Lega, mi pare fosse all’epoca Sandro Danesi (a cui seguì Luca Pelloni) ci si domandò come mai e la risposta del mitico Giò fu: “Quand i parl’n tra d’ lor an li capis!” (Quando parlano tra di loro non li capisco). Ma guarda un po’! Pegollo da credente e praticante qual’era, non sopportava assolutamente le bestemmie (sanzionate, comunque, anche dal regolamento). Insomma ognuno di loro aveva le sue caratteristiche. Ci fu un episodio, in particolare, che mi colpì per la sua gravità. Durante una sorta di rissa tra giocatori avversari, uno dei due portieri “rincò” (tolse) la bandierina nella sua metà campo e si lanciò nell’area avversa colpendo con forza il guardalinee. Squalificato a vita.

Gli Amatori, comunque, avevano come massima ambizione quella di riuscire a giocare una partita allo Stadio dei Marmi, cosa che, con puntiglio e fatica, riuscì loro più volte, anche se questo, in realtà, li penalizzava perché le dimensioni del campo era più grandi di quello della Fossa. Quando giocavano alla Stadio, arrivavano alla porta avversaria senza fiato, inoltre, non erano abituati a giocare sull’erba  perché a la Fossa a ì er i groton (alla Fossa c’erano i sassi), ma la felicità che provavano per essere nello stadio grande, era palpabile.Il mio lavoro con loro era anche assai impegnativo:  tenevo il regolamento del calcio a fianco al telefono di casa perchè mi telefonavano a tutte le ore per delucidazioni o richieste.  Fu così che capitò un sabato in cui dovetti portarmi dietro l’armamentario per validare le tessere di due ragazzi del Ricortola, che non avevano fatto in tempo a provvedersi di fotografie. Eravamo rimasti d’accordo che sarebbero venuti a casa mia per fare il tesseramento. Quando suonarono, mio marito andò ad aprire e uno dei due: “Oh e cos tì fa chì te?” (Oh, e cosa ci fai tu qui?). Mio marito gli rispose: “Veramente a sirè ‘l marit d’la Michela…” (Veramente io sarei il marito di Michela). L’altro: “E pov’ra fanta!” (E povera ragazza!). Era un suo compagno di lavoro in NCA. Erano tutti (quasi) belli così: veri e ruspanti!

© Foto Archivio Michelino