Renata, mia madre, e Luciana, Liana, Mara e Luisa, sono state amiche per tutta la vita. Insieme sono passate dai giochi di bambine, con quel poco che avevano, ai primi amori e alle passeggiate in via Roma.
Il nonno Francè era in Africa a tentare di placare la fame e lo zio Vittorio, il primogenito maschio dei Mocchi, classe 1920, era molto severo e gelosissimo di quella sorella bella come il sole, mia madre, che, secondo lui, un po’, viveva tra le nuvole. Così la andava ad acchiappare in via Roma e la riportava a casa cercando di proteggerla, a modo suo, ovviamente, ma le amiche erano sue complici, così quando lei, a 17 anni, pensò di essersi innamorata di un caro amico di suo fratello Bruno, la “coprivano” per farla stare qualche minuto con lui, ma non era amore. Lui era molto possessivo, mentre lei aveva bisogno di respirare, di andare a ballare, di sognare Robert Taylor… litigavano ogni tre per due. Insomma erano più le volte che erano “in discordio” (cioè si lasciavano) che quelle che stavano insieme.
Durante una delle volte “in discordio” il suo fidanzato fu preso dai tedeschi, proprio assieme al fratello Bruno. Lei corse, come tante altre donne, madri, sorelle, fidanzate, mogli, per poter dare un saluto a chi non si sapeva se sarebbe potuto tornare a casa. Gli fece cenno, indicando l’anulare sinistro, di ritenersi la sua fidanzata, ma lui non la vide e lei si sentì libera. Anzi, forse, “liberata”. E così, due giorni dopo la liberazione di Carrara, disse sì a mio padre.
Ad assistere al loro primo bacio, seduti su un qualche scalino di piazza Alberica, c’era Liana che aveva fatto finta di dormire. Liana era la più dolce, la più accogliente, la più sorridente. Si sposò piuttosto tardi per i parametri dell’epoca, con un gran bell’uomo, un tipo, un po’, stile Amedeo Nazzari: Renato detto “il barone”, a cui ho voluto molto bene. Ricordo di avere assistito al loro matrimonio nella chiesa di San Francesco al mattino presto, con il grembiule, poco prima di andare a scuola.
Liana era conosciuta in città per essere stata, per molti anni, assistente di un noto dentista, marito di Luciana, e angelo custode dei pazienti, proprio per i suoi modi dolci di rapportarsi con le persone. Luisa era molto bella, mora e con un gran fisico. Andò a vivere a Genova dopo sposata, ma tornò a Carrara nei suoi ultimi anni. Il rammarico di mia mamma fu non aver potuto “salutarla”. Con Luciana c’era un rapporto un po’ più speciale, un po’ più da sorelle. Infatti discutevano tantissimo e si tenevano il muso anche in tarda età. Classico era: “T’ sen v’nuta sema!” “’N t’ capis gnent!” (Sei diventata scema. Non capisci niente). Però al funerale con “il botto” di mia madre (andata via improvvisamente) Luciana era presente e mi disse: “Ora come faccio Michi?”.
Fu un funerale con “il botto” perché proprio quel giorno venne una forte scossa di terremoto e tutti scapparono dal Duomo. Io no, ricordo di aver pensato che se aveva retto per secoli il nostro Duomo avrebbe retto anche quel giorno. E poi non volevo lasciarla sola. Mio cugino mi buttò letteralmente fuori e io mi arrabbiai molto. Presi a scendere via Ghibellina gridando che a nessuno avrei permesso di “comandarmi” ancora, adesso che mia madre non c’era più. La zia Mara era la mia preferita: schietta e diretta, decisamente senza peli sulla lingua, persino troppo direi. Lei e Liana avevano avuto un periodo da emigrate in Inghilterra, sicché si divertiva a parlarmi in inglese. E poi era la mia Befana ufficiale. Una volta, quando eravamo ancora nel Bugliolo e io ero piccolissima, lei vestita da Befana mi porse giocattoli e io: “Questa Befana ha il rossetto della zia Mara!”. Anche lei era molto nota in quanto aveva lavorato tantissimo in un panificio storico. Se Charlie aveva le Angels, la Renata aveva le Girls e che girls!