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Diari Toscani

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L’amore per la lirica è un gene: incontro con il baritono Sergio Bologna

DiVinicia Tesconi

Ott 7, 2021

Carrarese purosangue, nato a Pontecimato, frazione alla periferia di Carrara, nella zona chiamata “da Bologna” per la presenza storica, fino ad alcuni anni fa, del negozio di tabacchi della sua famiglia. “Sono nato in bottega” dice Sergio Bologna, stimato baritono e docente di canto, ideatore del primo concorso di lirica “Marmo all’Opera” che si è tenuto a Carrara dale 23 al 25 settembre, riscuotendo un grandissimo successo di pubblico e di partecipanti.
Classe 1962, diplomato al conservatorio “G. Puccini” di La Spezia sotto la guida del soprano Antonietta Cannarile nel 1991, ha vinto molti prestigiosi concorsi lirici che lo hanno avviato alla carriera di solista. Tra questi il “Città di Roma” e l’”Iris Adami Corradetti” di Padova. Ha cantato in tutte le più celebri opere del repertorio lirico e nei teatri di tutto il mondo, pur mantenendo sempre stretto il legame con la sua città d’origine e con la travagliata storia musicale della città di cui è un fine conoscitore.

L’idea di riportare in vita i concorsi lirici di Carrara è sua. Come è nata?

Io faccio sempre riferimento alle tradizioni, perché secondo me sono le radici di una città. Sono sempre andato ad indagare nel passato concreto di Carrara, perché qui spesso c’è la tendenza a tramandare cose in maniera un po’ favoleggiante. Nelle mie ricerche, comunque, ho scoperto che sono state fatte cose eccezionali in ambito musicale e teatrale e tra queste, ho trovato anche i concorsi di canto che vennero creati dai comitati di appassionati di lirica tra gli anni 20 e gli anni 40 del ‘900. Erano questi comitati che organizzavano anche le stagioni liriche al Politeama Verdi.

Il Politeama è una delle note più dolenti della storia culturale e sociale della città…

Il Politeama è sempre stato un teatro privato gestito da privati. In origine il proprietario fu Leandro Caselli, l’ingegnere che lo costruì e che, in pratica, realizzò tutto il rinnovo urbanistico di Carrara est, progettando non solo il Politeama ma anche la caserma Dogali. Casella ottenne dal comune il terreno e l’incarico di costruire un nuovo, grande teatro lirico. L’accordo fatto con l’amministrazione dell’epoca, nel 1888, era che Caselli avrebbe costruito intorno al teatro degli appartamenti che sarebbero rimasti a lui, mentre il teatro era per la città. Per poter costruire il Politeama fu necessario togliere il cimitero che esisteva in quella che oggi è diventata la piazza Farini, per cui Caselli progetto contemporaneamente anche il cimitero monumentale di Marcognano, fuori dalla città, sulle prime colline verso Torano, disegnando personalmente le varie cappelle che vennero comprate dalle famiglie più facoltose.

Il teatro inserito in un contesto abitativo era una novità…

Sì, Caselli fu un imprenditore lungimirante e innovativo. Col Politeama fece un lavoro stupendo perché la struttura del teatro è completamente svincolata da quella degli appartamenti. In comune le due strutture hanno solo il foyer con cui ha in comune solo il foyer del teatro. La sala è staccata e infatti non ha subito alcun danno dal punto di vista statico. I problemi che hanno causato alcuni cedimenti sono avvenuti solo negli appartamenti e nel foyer.

Perché un teatro lirico, che quando venne costruito era il migliore d’Europa dal punto di vista acustico, non divenne mai sede di una compagnia stabile?

Ho fatto molte ricerche su tutta la storia del Politeama perché mi ha sempre appassionato e perché, anche in questo caso c’erano un sacco di dicerie e leggende. Il problema della lirica a Carrara è sempre derivato dal fatto che non c’è mai stato un teatro comunale. Gli Animosi, costruito nel 1840, era un teatro privato di proprietà dei grandi baroni del marmo dell’epoca: Del Medico, Orsolini, Lazzoni e gli altri nobili carraresi. Nelle sale sopra al teatro si erano fatti costruire il “casino civico” dove si ritrovavano per giocare a carte. Il teatro, comunque funzionava ma sempre gestito da privati. Due o tre volte all’anno veniva Giacomo Puccini, ospite dei Triscornia, imprenditori del marmo, e volentieri si intratteneva a giocare a carte sopra gli Animosi. Dopo la costruzione del Politeama, gli Animosi divenne il cinematografo carrarese e solo negli anni ’70 del ‘900 venne comprato dal comune diventando finalmente teatro comunale. Il Politeama era nato per essere il teatro della città, ma funzionò sempre grazie ai comitati privati di appassionati di lirica che organizzavano gli spettacoli. Il suo periodo d’oro fu tra le due guerre mondiali quando le stagioni liriche erano di altissimo livello grazie a grandi investimenti economici e anche agli incentivi statali che arrivavano per il desiderio di Renato Ricci, gerarca fascista, di dare massimo prestigio alla sua città d’origine.

Fu in quel periodo che nacquero i concorsi lirici…

Esatto. I comitati organizzavano concorsi principalmente per il gusto di scoprire voci nuove. A Carrara in quel periodo venivano grandi cantanti e si facevano grandi produzioni.

C’erano cantanti locali?

No perché non c’era una vera e propria scuola di canto. Esisteva la scuola di musica, ma non ebbe continuità specialmente nel dopoguerra perché le varie amministrazioni non mostrarono interesse in quella direzione.

Nonostante la lirica sia, storicamente, una delle più grandi passioni dei carraresi, i vari amministratori non sono mai riusciti a cogliere l’importanza di creare una struttura stabile dedicata alla musica…

La cosa più grave venne fatta nel 1970 quando il governò emanò la legge 180 che regolava tutti gli enti lirici dando la possibilità a tutti i vari comitati e strutture private esistenti di essere normate e accedere anche ai finanziamenti statali. I 13 enti provinciali esistenti poterono formare cori, orchestre e staff tecnici in modo stabile ricevendo molti soldi come accadde a Pisa, a Livorno, a Cremona, a Piacenza e ad altre città. Carrara, con due teatri, aveva le carte in regola per richiedere quei contributi e rientrare in quella normativa ma l’amministrazione si disinteressò del progetto. Carlo Viti, allora segretario comunale, era una persona di immensa cultura e passione che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente, all’epoca aveva raccolto tutti i documenti e preparato il dossier per fare la richiesta al ministero della cultura ma non poté inoltrarlo.

Tra le “leggende” carraresi legate al mondo della musica c’è anche la storia del primo palco della musica…

Anche di quella mi sono interessato e, anche in quel caso, tramite Carlo Viti. Con lui, infatti, andai nei sotterranei del comune a cercare i registri delle antiche delibere relative al palco della musica. La sua storia è legata a quella della banda di Carrara che era nata nel 1800, era municipale, cioè erano musicisti e operatori tecnici stipendiati dal comune che tenevano bellissimi concerti da Pasqua fino alla seconda domenica di ottobre. La banda di Carrara nell’800 era di altissimo livello, premiata in moltissimi concorsi e amatissima dalla gente. I concerti si tenevano settimanalmente in vari punti della città ma quando, agli inizi del ‘900, alla direzione arrivò il mitico maestro Campanini, su sua richiesta, si cominciò a pensare di creare un luogo fisso e adeguato, in cui tenere i concerti. Era necessaria una cassa armonica, secondo il maestro Campanini e nel 1924, l’allora sindaco Marchetti, fece costruire il palco della musica in piazza D’Armi che allora si chiamava Piazza Risorgimento. Il palco restò fino al 1960 quando di nuovo l’amministrazione comunale decise di smantellarlo, come è confermata da una delibera dell’archivio, per far posto alla biennale di scultura che venne fatta appunto in piazza D’Armi. Per l’occasione non solo venne eliminato il palco della musica, con grande disappunto e proteste dei cittadini, ma vennero rimossi tutti i decori urbani della piazza di origine liberty ed ottocentesca per essere in linea con la modernità della biennale.

Torniamo al Politeama: cosa successe nel ‘900?

Gli spettacoli lirici, se pur gestiti da privati, continuarono. A Carrara arrivarono cantanti di fama internazionale come Riccardo Stracciari che, oggi, potrebbe essere paragonato a Placido Domingo. Stracciari fu anche presidente di giuria in un concorso nel 1942. Le opere vennero rappresentate fino a quell’anno, poi si fermarono a causa della guerra e ripresero nel 1946, per tutti gli anni ’50, quando furono affiancate dalla rivista.

Il Politeama, infatti, era famoso anche per gli spettacoli di rivista…

Sì. Vennero grandi nomi come Nino Taranto e Erminio Macario, ma non i grandissimi dell’epoca che erano Totò e Wanda Osiris. Questo perché Totò e la Osiris accettavano solo piazze in cui potevano stare almeno un mese, mentre a Carrara al massimo stavano una settimana o dieci giorni.

Come proseguì l’attività lirica dopo gli anni ’50?

Non essendo mai stata presa in mano dal comune, andò scemando. Nel frattempo, alla fine degli anni ’50 esplose il cinema e il Politeama venne convertito in cinema Marconi, sebbene come cinema fosse pessimo perché aveva troppo rimbombo e aveva una galleria con le colonne che ostruivano la visuale.

Quindi i carraresi rinunciarono alla lirica?

No. Già nel 1970 venne fondato il circolo degli Amici della Lirica Angelo Mercuriali e la collaborazione con il comune ricominciò. Anzi per un certo periodo fu molto proficua, specialmente durante l’amministrazione del sindaco Lucio Segnanini che diede grande impulso alla riorganizzazione della stagione lirica. In quel periodo, ovviamente, c’ero anch’io: dal 1998 al 2003 il Politeama tornò alla sua originaria natura e grazie a contributi importanti dal comune e dal ministero, riuscimmo a mettere in scena diverse rappresentazioni partendo da opere minori per arrivare fino al Rigoletto e a Traviata. Erano spettacoli molto importanti e ben allestiti per i quali si provava per diverse settimane.

Che cosa determinò la fine di quel percorso a favore della lirica?

Al cambio di amministrazione seguirono i primi problemi con la proprietà del Politeama e la decisione più semplice fu quella di chiudere il teatro. Poi arrivarono i problemi strutturali che sono ancora irrisolti.

Fino a quando vennero fatti i concorsi lirici?

Fino agli anni ’50 perché, anche in quel caso, sarebbe stata necessaria una struttura stabile di supporto che non ci fu. La situazione odierna non è poi molto differente. Per fare questo concorso abbiamo dovuto cercare sponsor e raccattare soldi un po’ ovunque. Io ho proposto il progetto alla vedova di Vando D’Angiolo, che è un’amica come lo era il marito, che ha accolto subito la proposta con entusiasmo e tramite la Fondazione D’Angiolo ha assicurato il primo premio. Così hanno fatto altri sponsor privati e grazie a loro abbiamo messo in piedi un evento che ha dato grande impulso culturale alla città, ma sembra un po’ il paradosso dell’ospedale che fa lume alla chiesa. Non si dovrebbe andare avanti così.

Perché ha proposto di rifare un concorso lirico?

Per rinvigorire la passione per il bel canto in città, dal momento che non abbiamo i mezzi per fare nuove produzioni né ci sono sale per fare spettacoli.

C’è il teatro Animosi che dovrebbe riaprire presto…

Sul teatro Animosi, come su tutti i teatri storici, ho, da almeno 20 anni, un mio pensiero. Anche quando potrà essere riaperto, non servirà più a nulla, perché le normative che ci sono e che saranno sempre più pesanti in futuro, non permetteranno più di farci niente. Il suo destino è diventare un museo. Ci potranno entrare al massimo cento persone. Nei palchi non si potrà andare perché sono troppo bassi e ci sono le incannicciate, che non sono ammesse dalla legge anti-incendio. Dal 1969 ad oggi negli Animosi sono stati investiti 12 miliardi di lire. Una cifra con cui si sarebbe potuto costruire un teatro enorme, perfettamente adeguato alle nuove regole di sicurezza, che avrebbe permesso di proseguire ogni attività musicale, dai concerti pop alla lirica.

Quindi lei propone la costruzione di un teatro nuovo?

Sì e non è un’impresa così impossibile: l’Unione europea ha fondi che potrebbero coprire i costi fino all’80 per cento. Ci vogliono amministratori che sappiano guardare in prospettiva al futuro, come fecero quelli che costruirono il Politeama. Io ci ho cantato al Politeama e, per me, resta tra i migliori in assoluto dal punto di vista acustico, ed è ancora così perché non sono state fatte modifiche al teatro.

Qual è l’importanza dei concorsi lirici, oggi?

Hanno un’importanza enorme per i giovani perché servono a lanciarli. Nel concorso di solito le giurie sono formate da direttori artistici, direttori d’orchestra cioè da addetti ai lavori che possono poi ingaggiare i giovani talenti usciti da un concorso per uno spettacolo. Questo è il premio più importante anche del denaro. Alcuni concorsi fanno accedere direttamente alle produzioni e questo è il nostro obiettivo: arrivare a fare un concorso per far lavorare nuovi cantanti.

Come mai avete avuto una risposta così grande da parte dei cantanti?

I concorsi, in genere, sono molto attesi e ricercati. Qui c’è stata una particolare sinergia di fattori: Giovanna Casolla è stata, oltre che un grande nome della lirica, anche la garante dal punto di vista dell’umanità e della serietà del concorso, perché è nota per non ammettere alcun trattamento di favore. Nel nostro concorso abbiamo stabilito che la votazione dovesse essere segreta e che non ci fosse alcuna discussione: ognuno ha dato i propri voti senza consultarsi con gli altri e per evitare eventuali tentativi di pilotare i risultati è stata messa la regola di eliminare il voto più alto e quello più basso. Il risultato è stato dato solo dalla somma dei voti reali dei giurati controllata da un avvocato. Questa garanzia è stata molto importante per i ragazzi che hanno partecipato.

Vi aspettavate un tale successo?

Non ci aspettavamo certo 80 persone dopo il lungo blocco dovuto alla pandemia. Non abbiamo avuto neppure molto tempo per pubblicizzarlo e in più c’erano in contemporanea grandi concorsi che, sicuramente hanno richiamato molti partecipanti.

Parliamo di lei: qual è stato il suo percorso nella lirica?

Sono cresciuto in mezzo a persone che adoravano la lirica. Mio nonno materno morì chiedendo di ascoltare musica lirica dal grammofono che io ho ancora. Mio padre era innamorato della lirica e andava in Lambretta fino a Lucca a vedere le opere. Praticamente la lirica era nel mio patrimonio genetico. Io ho iniziato come strumentista. Ho studiato la tromba e altri strumenti, poi mi sono appassionato alla banda, ho studiato direzione d’orchestra e poi ho diretto la banda per tanti anni. Durante il servizio militare un amico che studiava canto, mi sentì canticchiare e mi spinse a fare lirica. Io ero incredulo. Ho cominciato a studiare canto per curiosità poi ho vinto il concorso al Maggio di Firenze e sono entrato per quattro anni stabile. In seguito ho vinto diversi concorsi da solista e ho iniziato la carriera. Ormai sono 30 che faccio lirica. Ho avuto la fortuna di lavorare con Franco Zeffirelli, con cui ho fatto I pagliacci e Traviata, raggiungendo un livello che non si è più toccato. Lavorare con lui significava lavorare con il più grande. Zeffirelli è spesso celebrato, giustamente, per il cinema, ma nella lirica è stato immenso. Essendo lui grande appassionato, non aveva manie di protagonismo e come regista lirico ha toccato vertici nelle sue produzioni che saranno mai più raggiungibili, anche perché aveva la possibilità di sostenere costi altissimi.

Quali sono i suoi prossimi impegni?

A novembre farò la Messa dell’incoronazione di Mozart nella basilica si Santa Maria in Aracoeli di Roma: uno spettacolo che sarà registrato da Canale 5. La pandemia ci ha bloccati per quasi due anni ed è stato un vero disastro. Da gennaio 2020 ho ricominciato quest’estate con Traviata a Novara e poi il Gianni Schicchi. Lavorando a contratto riesco anche a seguire l’attività degli Amici della Lirica.

Lei è un baritono: come si può spiegare quel che rappresenta questa figura nell’opera a chi è digiuno di lirica?

Nella classificazione delle voci, il baritono è l’uomo rappresentato con la sua umanità, con difetti e pregi contraddizioni, amore gelosia. Il baritono è la voce centrale che più rappresenta l’umanità. Il soprano e il tenore rappresentano, invece i personaggi idealizzati, molto romantici, sognatori. Il corrispettivo femminile del baritono è il mezzo soprano. Poi ci sono il basso e il contralto, che sono voci più gravi e rappresentano figure più compassate.

La lirica ha ancora un futuro, anche se non si scrivono più opere?

Sono state scritte talmente tante opere che anche se non c’è più produzione, il futuro è garantito. Per ragioni economiche di cassetta si tende a ripetere quelle più celebri ma ce ne sono molte ancora da fare. Studiare lirica oggi, invece richiede disponibilità di mezzi e tanta fatica.

Ci sarà la seconda edizione del concorso lirico di Carrara?

Certamente. A gennaio partiremo con l’organizzazione.