“Chi penserà a te, mio adorato figlio? Chi ti aiuterà?
Sento gli occhi che si chiudono, ma non è il sonno che vuole portarmi via e se li chiudo, se cedo a quelle palpebre di piombo, so che il tuo bellissimo viso non lo rivedrò mai più. Non voglio morire, non ti voglio lasciare, amore mio. Sei troppo piccolo e io troppo giovane e siamo solo noi due. Non abbiamo nessuno che pensi a noi. Qui son tutti morti e a casa, laggiù vicino al mare, tuo padre non ci ha mai voluti. Ho sbagliato tesoro mio, tante volte. Ho sbagliato ad amare un uomo che apparteneva ad un’altra. Gli ho creduto quando diceva che non poteva vivere senza me. Ho pensato che, davvero, avrebbe lasciato tutto per stare con noi. Invece non l’ha fatto. Quando sei arrivato tu, lui se ne è andato. Aveva già una famiglia, non ne voleva un’altra. Ed io son rimasta sola, con te. Non mi son pentita di averti avuto e nemmeno di aver amato tuo padre. Tu sei stato solo gioia per me. Tu sei la mia gioia anche adesso, in mezzo a tutta questa morte. Hai fatto bene a non darmi retta e a non restare in casa. Loro avrebbero colpito anche te. Invece ti eri già nascosto nel bosco. Non ti trovavo ed avevo paura che ti avessero già preso, invece, ti sei salvato, amore mio. Sei stato bravo. Più bravo di me, per fortuna. Non dovevamo venire qui. Non dovevo portarti in questo paese sperduto, lontano da casa nostra. Ma avevo paura delle bombe. Tutti dicevano che gli americani stavano arrivando e che i tedeschi avrebbero perso la guerra. Per questo le ultime battaglie sarebbero state ancora più terribili. Le sirene del coprifuoco suonavano in continuazione. Non si poteva vivere sempre correndo dentro ai rifugi e poi, non si era sicuri nemmeno lì. Alcune bombe li avevano colpiti in pieno. Non sapevano più neanche come raccogliere i morti. Non c’era più pane, né zucchero, né latte. Non c’era più lavoro, per me. Non c’erano più soldi ma anche se ci fossero stati non c’era cibo, non c’era più niente. C’era solo la paura. Soprattutto la paura di perderti. Quella donna fu gentile con noi, ci offrì una stanza nella sua casa qui a Sant’Anna. Una stanza vuota senza niente dentro. Per quello ho portato il nostro materasso sulla testa lungo tutta la strada. Almeno avremmo avuto un posto per dormire, magari anche per terra. Andava bene lo stesso, quel che contava era che questa fosse una zona sicura. L’avevano detto i tedeschi: a Sant’Anna non ci sarebbero stati attacchi. Pensavo di averti messo al sicuro, amore mio, credevo che ci saremmo salvati entrambi. Che saremmo rimasti insieme e che ti avrei visto diventare grande. Invece devo lasciarti qui, adesso, e sei ancora un bambino e sei solo e non c’è proprio nessuno a cui poterti affidare. La ferita è troppo profonda e il sangue continua a scorrere via da me. Tu sei troppo piccolo per portarmi da un dottore e poi chissà se è rimasto un dottore in questa devastazione. Rimani solo tu, amore mio, e a me resta sempre meno tempo. Riesco solo a guardarti e a dirti che andrà tutto bene, ma lo so che non ci credi e che hai paura. E so che ti dispererai quando i miei occhi non si riapriranno più. Ma tu resisti, figlio mio. Tu puoi ancora farcela e vivere anche per me. Tu potrai ancora essere felice. La guerra finirà e la vita tornerà ad essere bella, anche dopo tutto questo dolore. Dimentica tutte le cose brutte che hai visto, dimentica anche me e vai avanti. Sono sempre più stanca, vita mia, e ho tanto freddo. La tua manina è calda e la terrò sempre nel mio cuore. Perdonami se non sono riuscita a fare di più. Ti ho amato tanto. Non scordarlo mai. Questo solo, non lo scordare mai”.
Ispirato alla vera storia di Elena Guadagnucci, uccisa il 12 agosto del 1944 nell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, il paese in cui si era rifugiata perché indicato dai tedeschi come zona bianca, cioè area protetta, nella quale non ci sarebbero stati né bombardamenti, né esecuzioni. Dopo pochi giorni dal suo arrivo, insieme al figlio di dieci anni, Elena Guadagnucci venne ferita gravemente dal commando tedesco nel corso della strage, mentre suo figlio era riuscito a scappare nei boschi. Quando i tedeschi se ne furono andati, il bambino tornò accanto alla madre, ma non poté fare nulla e fu costretto a vederla morire. Salvato, alcuni giorni più tardi, venne adottato da una facoltosa famiglia toscana che gli diede il suo nome. Della sua presenza a Sant’Anna, il giorno della strage, si perse, quindi, ogni traccia e Elena Guadagnucci, che era originaria di Avenza, venne indicata nei 560 nomi delle vittime dell’eccidio come cittadina del luogo. Suo figlio, come tutti i pochi superstiti di quell’atroce evento, cercò di dimenticare quel che aveva vissuto parlandone il meno possibile e per molti anni la storia di sua madre sembrò essere dimenticata, ma tutto il suo amore non andò perduto: moltissimi anni dopo la sua morte, suo nipote Lorenzo Guadagnucci, giornalista e scrittore, figlio del bambino che si era salvato dalla strage, ricostruì tutta la storia di sua nonna e dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, facendo avviare il processo contro gli autori della strage e raccogliendo tutte le testimonianze nel libro Era un giorno qualsiasi… edito da Terre di mezzo nel 2016.
Il percorso che arriva a Sant’Anna di Stazzema passa da Valdicastello, dove si trova la casa natale di Giosuè Carducci, dopo la quale si incontra un ponte. Il sentiero CAI numero 4 che conduce a Sant’Anna è indicato su uno dei pali della luce della strada principale e inizia alla destra del ponte in mezzo alle case, fronteggiando il monte Lieto. Nel giro di pochi minuti si arriva al ponte sul torrente Baccatoio, che si forma dall’intersezione del Fosso del Fondo e del Canale dei Mulini, e che porta i residui metallici delle miniere a monte che danno una tipica colorazione arancione alle rocce. Sul ponte si trova l’indicazione del Sentiero della Pace di Sant’Anna di Stazzema che porta direttamente al paese in cui avvenne l’eccidio.
© Foto e percorso di Cristina Maioglio