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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Tra sogni futuristici e antiche maledizioni: la Foce del Pallone

DiVinicia Tesconi

Lug 2, 2021

La storia, dal monte Matanna, delle Alpi Apuane, è passata 110 anni fa, con un vestito così incredibilmente moderno da sembrare, nell’idea, molto più vicina a oggi che ai giorni incerti degli inizi del ‘900. Una famiglia di abili albergatori, pionieri di un turismo molto avanzato per la concezione e i mezzi del tempo, una trovata avveniristica geniale e la potenza della natura, mascherata, forse, da vendetta divina: questi gli ingredienti dell’affascinante storia dell’albergo Alto Matanna e del suo mirabolante pallone frenato.

L’intuizione sulle potenzialità turistiche del versante versiliese delle Apuane, nella zona oggi amministrata dal comune di Stazzema, la ebbe, per la prima volta, Alemanno Barsi, originario di Palagnana, quando, grazie a un fortunato matrimonio, poté lasciare il lavoro di fabbro e tentare la sorte, costruendo il primo albergo sulle pendici del monte Matanna, vicino al suo paese, a circa 750 metri sul livello del mare: era il 1890. Il concetto di villeggiatura era conosciuto solo dalle classi più abbienti che, tuttavia, mostravano di apprezzarlo specialmente in relazione al livello degli standard che venivano loro offerti. Per questo, Barsi dotò il suo albergo di tutti i confort più esclusivi del tempo, dal telefono alla fornitura quotidiana di giornali e cominciò a ricevere i rappresentanti della borghesia medio-alta, attratti dalle bellezze del luogo e dai comfort dell’albergo. Il padre passò il testimone al figlio, che sfruttò, ugualmente, la fortuna di un altro oculato matrimonio per rinnovare la struttura costruita dal padre, arricchendola con un prezioso arredamento in perfetto stile inglese, particolarmente gradito ai molti turisti britannici e americani che arrivavano in zona per recarsi alle terme di Bagni di Lucca. Barsi nel frattempo si dedicò alla costruzione di un secondo albergo molto più in quota, sull’alto Matanna, a 1037 metri sul livello di un mare, la cui vista, dalla cima della montagna era, ed è, letteralmente mozzafiato. Il secondo albergo era incastonato sulle vette delle Apuane e concedeva all’occhio di spaziare su tutto l’arcipelago Toscano. Alemanno Barsi aveva ormai acquisito abbastanza esperienza nel neonato mercato del turismo per sapere che quel luogo sarebbe stato irresistibile. Per questo non esitò ad accogliere una soluzione straordinaria per bypassare il problema dell’accessibilità del suo nuovo hotel. Il suo obiettivo era intercettare la clientela aristocratica e ricchissima che, a cavallo del ‘900, affollava le strutture alberghiere di Viareggio, sulla costa, ma per raggiungere il suo nuovo albergo bisognava salire, faticosamente, a piedi o usare i muli, che erano, comunque, molto lenti. Per attirare fino al suo “paradiso” i turisti, Barsi aveva bisogno di un trasporto molto più veloce. L’idea, in realtà, venne a suo figlio che, avendo lavorato come rappresentante di utensili, aveva avuto modo di conoscere tutte le novità tecnologiche più all’avanguardia.

Le mongolfiere erano ormai note sin dal 1873, per quanto, non fossero diventate un mezzo di trasporto comune. Padre e figlio sfruttarono l’idea del pallone aerostatico con l’aggiunta di un ancoraggio a dei cavi in modo che il cesto garantisse il trasporto di persone lungo un percorso fisso. Il progetto era azzardato e innovativo, i costi erano notevoli, ma la lungimiranza della famiglia Barsi in tema di turismo era certamente più vasta di ogni possibile ostacolo e l’opera venne realizzata. Il pallone frenato era una mongolfiera di 14 metri di diametro, che scorreva su delle guide formate da cavi di acciaio dalla sezione di 2,7 centimetri. Il cesto poteva ospitare sei persone per volta più il comandante dell’areostato e raggiungeva un’altezza di i venti metri.

La stazione di partenza venne costruita vicino alla Grotta dell’Onda a 710 metri di altitudine: una base in muratura sovrastata da un hangar in legno, dalla quale partiva il cavo di acciaio lungo 800 metri. I numeri del progetto, stratosferici per l’epoca, accrescevano le aspettative, e anche le perplessità, sul successo dell’impresa. Che non mancò. Dopo il collaudo effettuato il 21 agosto del 1910, il pallone frenato cominciò il suo servizio puntuale e costante dal 28 di agosto, diventando subito un notevole valore aggiunto alle già molte attrattive del luogo e dell’albergo.  La corsa durava circa un’ora con un biglietto che costava 200 lire, cifra da nababbi che, tuttavia, vide tutte le personalità, artisti e sovrani, dell’epoca mettersi in fila per assicurarsene uno. Il re del Belgio Alberto I, l’Infanta di Spagna Maria Teresa di Borbone salirono sul pallone frenato dei Barsi e poi un numero imprecisato di scrittori, poeti, pittori, scienziati e studiosi.

Il viaggio dei turisti fino all’albergo Alto Matanna era a dir poco rocambolesco: dalla stazione di Viareggio venivano portati in auto fino a Candalla sulla montagna versiliese. Da lì, a dorso di mulo raggiungevano la stazione di partenza del pallone e una volta terminato il “volo”, di nuovo salivano all’albergo su una portantina. La “meraviglia” del pallone frenato durò solo pochi mesi. A calare il sipario su quell’anticipo di futuro fu un terribile temporale che in una notte del febbraio del 1911 devastò letteralmente il pallone e la stazione di partenza.

Per gli abitanti del vicino paese di Casoli, tuttavia, si trattò di una punizione divina causata dall’incauta distruzione, fatta dagli operai che costruirono la linea del pallone frenato, di una Madonnina molto antica che, secondo la tradizione locale, rendeva sacro il luogo. Di tutto il sogno dei Barsi rimase solo il basamento in cemento della stazione di partenza ancora oggi visibile. Molti decenni dopo, intorno al 1970, si ricominciò a parlare di funivie che collegassero la costa versiliese e apuana con le Apuane, senza che mai, tuttavia, il progetto arrivasse a vedere la luce.

Il percorso disegna un anello con partenza e arrivo al paese di Casoli a 410 metri sul mare. Si può lasciare l’auto poco dopo il paese e iniziare il percorso in discesa seguendo i segni per il sentiero numero 2 fino ad arrivare a una maestà che si trova sulla biforcazione del sentiero da cui parte il cammino 112. Si prosegue, tuttavia, sul sentiero 2, verso sinistra risalendo lungo una vecchia mulattiera che si inerpica prima nel bosco e poi costeggia un ruscello e dei prati fino ad arrivare alla Foce del Termine. Da lì si prende il sentiero a sinistra che sale sulla cresta panoramica che conduce fino alla Foce del Pallone, dove si trova il rifugio Alto Matanna, cioè l’antico albergo in quota dei Barsi. Il percorso può proseguire fino alla vetta del monte Matanna per gli appassionati di trekking con maggior allenamento, oppure si può ridiscendere fino alla Foce di Grattaculo e successivamente a San Rocchino da dove si prosegue fino a tornare al paese di Casoli.

© Foto e percorso di Cristina Maioglio