Quando chiese a sua moglie di posare per una nuova statua, Aldo Buttini, aveva in mente Frine dalle guance dorate, la più famosa prostituta dell’Atene del quarto secolo a.C..
La bellissima Frine, modella, e forse amante, del grande scultore greco Prassitele, usata per rappresentare Afrodite, talmente bella da essere denudata davanti ai giudici del processo contro di lei per la sua condotta libertina e riconosciuta innocente proprio in virtù di tale bellezza che “non poteva essere colpevole”.
Pensava a Frine, Buttini, che usciva nuda dalle acque, avendo in mente, soprattutto, la sua amatissima moglie, le cui forme perfette gli avevano richiamato la storia della bellissima etera ateniese. Il soggetto della bagnante, forse proprio perché ispirato dalla moglie, gli era caro. Quando suo suocero, Ottavio Dell’Amico, titolare di uno dei più importanti studi di scultura carraresi della prima metà del novecento, gli chiese un’opera da esporre per la Prima Mostra del marmo voluta dal regime fascista nel 1934, Buttini vide la sua Frine, nuda e sensuale, uscire da una vasca adornata da un girotondo di putti, con le braccia intorno al capo per liberarsi delle ultime vesti e le forme sinuose offerte alla vista senza traccia di pudore, come era Frine, appunto. E la realizzò.
La fontana, con tanto di getti d’acqua che uscivano dalle bocche di lupo poste sul basamento della statua, venne esposta nel grande stand dello studio Dell’Amico, realizzato all’interno degli spazi della scuola del marmo. Il successo fu notevole, per l’installazione, per il progetto e soprattutto per la bellezza della statua. Ma non venne venduta, forse per il legame affettivo che legava lo scultore alla sua opera. Dopo la fine della prima Mostra del marmo, peraltro protratta per alcuni mesi proprio per il successo di critica e visitatori, la fontana della Bagnante tornò nel laboratorio di Dell’Amico e lì rimase, dimenticata per anni. Il fascismo tramontò, Ottavio Dell’Amico morì, il laboratorio venne chiuso e Frine restò prigioniera lì dentro, coperta dalla polvere del marmo e degli anni. Quando gli spazi dell’ex laboratorio vennero rilevati, qualcuno si accorse della fontana dimenticata e non sapendo dove metterla la propose all’amministrazione comunale. C’era giusto uno spiazzo largo e vuoto proprio all’ingresso della città: un triangolo acuto incuneato sulla biforcazione delle due strade di accesso al centro, tra il maestoso palazzo delle poste, di epoca fascista, completamente in marmo, e il tracciato cittadino della vecchia ferrovia marmifera costeggiato da palazzi più recenti. Piuttosto che buttarla via, la mettiamo lì. Non era la prima volta che accadeva nella storia dei monumenti della città, anzi, era ormai la pratica preferita sin dai tempi del Gigante, il colosso che sormonta la fontana della piazza del duomo di Carrara, dimenticato dal suo autore, Baccio Bandinelli, nel laboratorio carrarese intorno al 1530. Alla fine degli anni cinquanta la Frine di Buttini uscì finalmente dal suo ritiro e andò ad accogliere tutti i visitatori all’ingresso della città. Immutata nella sua sfolgorante bellezza, ma annullata nella sua identità. Nessuno conosceva la storia di Frine, nessuno si prese la briga di informarsi sulla storia di quel monumento. O forse semplicemente la videro così bella e la associarono banalmente a quella dea della bellezza per la quale la vera Frine aveva fatto da modella. O ancora, più probabilmente, perché i carrarini sono anarchici anche nei nomi con cui decidono di chiamare luoghi e monumenti. Un’altra pratica antica che già aveva affibbiato il nome di “Gigante” al Nettuno di Bandinelli. La fontana del Buttini posta al largo delle Poste, sin dall’inizio fu la fontana della Venere e col tempo il nome della statua finì per indicare l’intera zona. Alla Venere. Frine era diventata dea.
La Bagnante doveva raffigurare, nell’intento del suo autore, la ninfa Frine dalle guance dorate. Nella realtà era la moglie dell’artista che spesso gli faceva da modella. Ma per i carrarini fu Venere sin dal suo apparire in quell’aiuola, dove fu posta, sul finire degli anni ’50, mediante un’altra usanza tipicamente locale che era quella di raccogliere le statue dimenticate nei laboratori o destinate alla distruzione e trasformarle in monumenti cittadini. La fontana della Bagnante era stata realizzata molti anni prima per una manifestazione straordinaria nella storia della città: la Prima Mostra del Marmo del 1934. Di chiara matrice celebrativa fascista, l’evento era stato pensato come il primo di una serie che avrebbe dovuto continuare nel tempo, per valorizzare l’unicità e l’eccellenza italiana nel settore del lapideo, rispetto al resto del mondo. In realtà ebbe solo un’assai più modesta ripetizione l’anno successivo, poi sparì del tutto, senza quasi lasciare traccia. Pochissimi a Carrara, anche tra le personalità che si sono succedute nell’amministrazione comunale, ricordavano che la prima vera Fiera del marmo fu quella.
L’organizzazione fu estremamente accurata e moderna e la manifestazione riscosse un tale successo da essere prolungata per tutta l’estate del 1934. Erano stati stabiliti vari spazi all’interno della Scuola del marmo e del Convitto (attuale liceo artistico) in cui realizzare gli stand degli espositori. Tutti i grandi laboratori di scultura che c’erano in città, realizzarono opere esclusive destinate alla mostra. Si predispose un’area all’aperto, chiamata giardino di scultura, in cui alcuni scultori scolpivano i loro lavori per permettere ai visitatori di vedere come si lavora il marmo. Si usò la marmifera – il treno che veniva usato per portare i blocchi di marmo fino alle segherie o al porto – come treno panoramico che faceva la spola dalla città alle cave, per portare i turisti fin dentro al luogo da cui si estraeva il marmo. Venne realizzata anche una varata dimostrativa, con esplosione di mine ed estrazione del blocco, alla quale assistette un folto pubblico. Si organizzarono, in concomitanza, una serie di concorsi artistici e culturali e si pubblicò una specie di Gazzetta giornaliera che raccoglieva tutti gli eventi e gli articoli che comparivano sulla stampa nazionale. Si succedettero ospiti illustrissimi, a cominciare dal re Vittorio Emanuele III che venne per la prima volta in visita alla città, alle cave ed alla zona industriale appena creata dalla dirigenza fascista e poi moltissimi parlamentari e ministri, scultori ed artisti dall’Italia e dall’estero.
Il laboratorio di Ottavio Dell’amico, suocero del Buttini, presentò, per quella occasione la fontana della Bagnante e la espose nello stand interno con l’acqua nella vasca e nelle bocche di uscita poste sul basamento. Nonostante il successo riscosso dall’installazione, la Bagnante venne dimentica per quasi trent’anni, nel magazzino del laboratorio Dell’Amico e solo quando il laboratorio fu smantellato, qualcuno dell’allora amministrazione cittadina, pensò di collocare la fontana al centro del largo delle poste nel quale non c’era nulla. Così si creò uno spicchio di giardino e di posizionò il monumento che cambiò nome istantaneamente. La fontana restò tale per qualche anno poi fu deciso di interrarla trasformandola in un’ulteriore aiuola. La Venere invece rimase sempre al suo posto ad accogliere chiunque voglia arrivare fino al centro della città.